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DOPO “ABILITOPOLI” E LA PROPOSTA DEL PRESIDENTE DELL’ANAC, SI RAMMENTA CHE GIÀ NEL 1972 LA CORTE COST.AVEVA REPLICATO CHE LE COMMISSIONI GIUDICATRICI ERANO COMPOSTE ESCLUSIVAMENTE DAI PROF.DELLE MATERIE PER LE QUALI ERA BANDITO IL CONCORSO A CATTEDRA PDF Stampa E-mail

Dopo l"abilitopoli" deflagrata a Firenze, che ha interessato il SSD del diritto tributario italiano, la proposta più dirompente per l'assetto universitario consolidato è senza dubbio quella avanzata dal presidente Cantone in un'intervista a Repubblica del 27 settembre. "Vorrei lanciare un'idea", dice, tra l'altro, il presidente dell'anti corruzione, "In ogni commissione, per un'abilitazione, per un concorso, dovrebbe entrare una personalità esterna al mondo accademico. Perché non immaginare uno scrittore a giudicare, insieme agli altri, una prova di Letteratura italiana? Un medico, un ingegnere e un avvocato nelle loro discipline? Nessuno vuole sminuire il mondo accademico, ma la contaminazione è un valore. Non conosco una categoria più gelosa delle proprie libertà dei magistrati, eppure nelle commissioni di concorso in magistratura ci sono proprio i docenti universitari".
Sembrerebbe un sasso lanciato nello stagno e una provocazione positiva. In realtà l'idea non è nuova, come potrebbe sembrare a prima vista, avendo costituito oggetto di dialettica giuridica e giurisprudenziale, ai massimi livelli, già nei primi anni settanta del secolo scorso. Qualche dubbio sull'eccessiva autoreferenzialità del corpo accademico si era manifestato, infatti, anche a quell'epoca, se è vero che nel 1972 l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato aveva dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della normativa sui concorsi alle cattedre universitarie. Il Consiglio di Stato censurava che le commissioni fossero composte esclusivamente da professori universitari. In questo modo, a giudizio di quel Consesso, si poneva in essere un sistema strutturato in forma di autogoverno in contrasto con i principi costituzionali dell'imparzialità della pubblica amministrazione e dell'uguaglianza. Anche le norme che, all'epoca, non richiedevano la necessità di prefissare criteri di massima per la valutazione comparativa dei candidati, sollevava motivate perplessità nei giudici amministrativi. A quei rilievi replicò prontamente la Corte Costituzionale giudicandoli privi di fondamento. Le commissioni giudicatrici, secondo la Corte, erano razionalmente composte esclusivamente dai professori delle materie per le quali era bandito il concorso. Si trattava, infatti, di considerare la personalità scientifica dei candidati. Potere, questo, che non poteva essere conferito a persone non competenti nelle materie dei concorrenti. Un sistema del genere, infatti, non avrebbe garantito, a giudizio della Corte, quel buon andamento dell'Amministrazione, di cui il Consiglio di Stato era giustamente preoccupato. Non sarebbe stato in grado di assicurare scelte informate alla conoscenza della materia a concorso e del suo progresso. (Fonte: F. Matarazzo, Roars 03-10-17)