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Riformare l'università italiana
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mercoledì 16 giugno 2010

Riformare l'università italiana è probabilmente impossibile, tuttavia come spesso accade la speranza trascina le persone più dell'esperienza, per cui alcuni volonterosi, sollecitati da una lettera aperta di Claudio Procesi (docente di Matematica alla Sapienza di Roma) hanno discusso in un FORUM WEB APPOSITAMENTE CREATO, UNIVERSITAS FUTURA, e hanno infine elaborato un documento contenente alcune linee guida per una proposta di riforma dell'università italiana. Non senza qualche resistenza, la proposta elaborata propone un'Università incentrata sulla competizione tra sedi diverse - autonome entro i vincoli di bilancio - per accedere a fondi statali distribuiti in seguito ad una valutazione approfondita dei risultati della ricerca e della didattica.

Sarei felice se questo articolo stimolasse una discussione sulle riforme di cui ha bisogno l'università italiana. Per avviare la discussione, espongo nel seguito la mia ricetta personale per riformare l'università italiana, rielaborando il mio contributo al termine della discussione sui forum di Universitas Futura.

INTRODUZIONE

Il nostro paese ha un sistema universitario che - complessivamente, in media - è più arretrato e meno efficace in termine di costi e risultati rispetto a quello degli altri paesi avanzati con cui ci confrontiamo, per responsabilità varie (politiche, accademiche, sindacali).  Ritengo che il problema principale consista nell'assenza di una valutazione esterna, indipendente, approfondita, rigorosa e continua dei risultati didattici e della ricerca, valutazione che poi incida seriamente sull'attribuzione dei finanziamenti e anche in certa misura sugli stessi compensi del personale universitario. In assenza di valutazione incisiva delle scelte operate, le riforme che hanno attribuito progressivamente maggiore autonomia agli Atenei in materia di bilancio (autonomia) e reclutamento (concorsi locali) hanno prodotto risultati deludenti e favorito comportamenti scorretti, abusi ed eccessi di nepotismo e localismo.

Pertanto, una riforma dell'università italiana deve essere incardinata su due principi fondamentali:

  • deve esistere una valutazione rigorosa, periodica ed indipendente dei risultati della ricerca e della didattica come presupposto inderogabile di ogni finanziamento assegnato; tale valutazione va organizzata da chi finanzia, e quindi in Italia principalmente dallo Stato.
  • entro i vincoli di bilancio determinati dalle risorse attribuite, i Dipartimenti universitari devono avere reale autonomia nell'organizzazione della didattica, della ricerca e del reclutamento, entro norme generali omogenee valide per tutti, ma senza freni e ostacoli puramente burocratici e formali, e senza dover sottostare a procedure di concorso nazionali.

VALUTAZIONE DEI RISULTATI

La valutazione della ricerca deve avvenire secondo gli standard internazionali alla base delle procedure di "peer review" eseguita dai migliori esperti (italiani ed esteri senza distinzione). Esempi di valutazione rigorosa della ricerca organizzata dallo Stato esistono, ad es. il RAE in Gran Bretagna.

La valutazione dei risultati della didattica è materia più complessa, ma viene fatta in vario modo e misura per tutti i migliori sistemi di educazione superiore. L'OCSE ha avviato recentemente un progetto di valutazione comparata ed estensiva dei risultati dell'educazione superiore (AHELO).

In altri contesti meno assimilabili al caso italiano come gli USA la valutazione dell'università è affidata sostanzialmente a meccanismi di mercato, di cui si avvalgono anche le famiglie per scegliere le università migliori. Tali meccanismi non appaiono di semplice e realistica applicazione nell'Europa continentale, ma possono comunque complementare l'opera dello Stato.

AUTONOMIA AI DIPARTIMENTI TEMPERATA DA VALUTAZIONE

Ritengo che la valutazione e l'esercizio dell'autonomia debbano essere incentrati sui Dipartimenti (ovvero sulle strutture che accomunano docenti e ricercatori universitari appartenenti alla medesima disciplina) perché valutazioni serie e anche confronti nazionali e internazionali approfonditi su didattica e ricerca si possono fare solo disciplina per disciplina.

Ritengo molto più complesso e necessariamente impreciso e superficiale confrontare Atenei diversi, perché essi possono avere una composizione interna molto diversa l'uno dall'altro per discipline. Quanto alla valutazione dei singoli membri del personale universitario, ritengo che la valutazione debba essere organizzata principalmente dal Dipartimento di appartenenza, che avrà diretto interesse a reclutare, premiare e valorizzare i membri più validi scientificamente se efficacemente responsabilizzato da valutazione rigorosa ed incisiva dei suoi risultati aggregati.

Un esempio di valutazione approfondita a livello di dipartimenti è contenuto in questo saggio tedesco: http://chimera.roma1.infn.it/PDF/CHE_ExcellenceRanking_AP99.pdf

Stabiliti meccanismi incisivi per valutare i risultati e responsabilizzare l'operato, è corretto e opportuno garantire ai Dipartimenti ampi margini di autonomia perché in capo ad essi saranno concentrati gli incentivi e gli interessi a scegliere e operate nella maniera più efficiente al fine di produrre i risultati migliori entro i limiti delle risorse assegnate.

RUOLO DELLO STATO

In Italia l'Università è in netta prevalenza statale, e non solo in Italia i finanziamenti all'università provengono in misura prevalente dallo Stato. Ritengo che una riforma realisticamente attuabile debba prevedere che l'università rimanga sostanzialmente statale come in Inghilterra o al più regionale come in USA (prevalentemente) e in Svizzera. Allo stesso tempo lo Stato, come avviene in Inghilterra, non può limitarsi a finanziare ma deve farsi carico anche di misurare periodicamente i risultati, fissando i finanziamenti in misura proporzionale ai risultati didattici e di ricerca dei Dipartimenti universitari. Risulta anche naturale che lo Stato ripartisca il finanziamento all'Università per discipline in base alle esigenze e alla programmazione della didattica e della ricerca nel Paese, e anche in base alla documentata competitività internazionale attuale dei diversi settori di ricerca esistenti. Ritengo infatti inaffidabile una ripartizione di fondi indivisi assegnati a tutta l'Università o anche a singoli Atenei, quando gli organi di governo sono determinati “democraticamente” dagli stessi docenti destinatari dei finanziamenti: non è possibile fare una valutazione obiettiva dei meriti tra discipline radicalmente diverse, e in ogni caso i percettori stessi dei finanziamenti non hanno gli incentivi corretti per ripartire efficientemente le risorse disponibili, al contrario esiste l'incentivo o alla ripartizione in parti uguali senza valutazione, o alla formazione di cordate maggioritarie solo numericamente finalizzate all'appropriazione delle risorse da dividere in seguito ancora una volta in parti uguali e senza valutazione, ma escludendo la minoranza. Solo una “governance” sostanzialmente indipendente dai docenti percettori delle risorse potrebbe avere incentivi appropriati ad allocare correttamente risorse tra discipline diverse. È tuttavia essenziale che tale autorità sia quanto più possibile indipendente anche dagli arbitrii della politica. Nel contesto italiano, appare necessario un miracolo perché tutto ciò si possa realizzare, tuttavia non vedo alternative migliori che siano realistiche e praticabili.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

La riforma proposta è terribilmente pericolosa nel contesto italiano, perché prevede autonomia nelle scelte che viene responsabilizzata da una valutazione a posteriori dei risultati. I docenti universitari più anziani, che sono anche spesso i più potenti, potrebbero abusarne senza freno e senza temere conseguenze prima della pensione. Pertanto è indispensabile prevedere accuratamente una fase transitoria in cui in un primo tempo venga fatta una valutazione approfondita sia dei risultati sia delle politiche di reclutamento passate dei Dipartimenti. In un secondo tempo, solo i migliori Dipartimenti dovrebbero avere risorse e possibilità di reclutare, con valutazione successiva. È cruciale che l'estensione dell'autonomia nel reclutamento sia sempre e comunque condizionata ad approfondite valutazioni.

Per prevenire degenerazioni tipiche del contesto italiano come università che si specializzano come esamifici con docenti raccogliticci e sottopagati, è opportuno imporre inizialmente vincoli di relativa omogeneità per l'inquadramento dei docenti dei corsi, con margini di autonomia ad esempio nei compensi e nel carico didattico non superiori a quelli esistenti in altri sistemi universitari avanzati, come ad esempio quello inglese.

ULTERIORI ELEMENTI ESSENZIALI PER UNA VALIDA RIFORMA COMPLESSIVA

Enunciati i principi generali, elenco nel seguito una serie di elementi più tecnici e specifici che mi sembrano essenziali per realizzare una riforma coerente e funzionale, con brevi motivazioni.

La remunerazione della carriera accademica in Italia, dal dottorato alla posizione di prof. ordinario con massima anzianità, è assolutamente abnorme perché prevede salario (e costo totale inclusivo di tasse e contributi) estremamente basso per i giovani ad inizio carriera e comparativamente molto elevato a fine carriera ed elevata anzianità.  Inoltre, all'interno di ogni posizione stabile esiste una progressione della remunerazione di anzianità di entità abnorme rispetto alla media degli altri paesi avanzati (dalla Francia agli USA), progressione oltretutto indipendente da ogni considerazione di merito.  Questa struttura di salario è incompatibile con una reale mobilità dei giovani nella fase iniziale della carriera accademica, tipica dei sistemi universitari più avanzati, e inoltre fortemente ostacola il reclutamento dei più validi scienziati degli altri Paesi avanzati.  Si propone di riequilibrare la remunerazione a parità di spesa totale integrata lungo la carriera accademica media. Ciò può diventare effettivo istantaneamente per i giovani che iniziano ora il percorso, e va calibrato con equità per il personale già in servizio che ha già scontato bassi salari iniziali e che ha pertanto legittime aspettative riguardo i compensi presenti e futuri.

Il riequilibrio delle remunerazioni lungo il percorso di carriera accademica risolve alla radice gli squilibri che ora sono causati dal costo abnormemente basso dei giovani in posizione precaria e dei ricercatori ad inizio carriera e dal costo comparativamente abnormemente elevato dei docenti con elevata anzianità. Si tratta di un problema comune al sistema del lavoro privato che distorce l'occupazione inducendo a licenziare o prepensionare a carico dello Stato i lavoratori anziani per assumere giovani sottopagati e/o in posizioni a tempo determinato. Il riequilibrio deve riguardare sia il rapporto tra le remunerazioni delle diverse posizioni, sia l'entità della progressione di anzianità all'interno dei rapporti stabili, e deve prendere a riferimento gli esempi migliori e prevalenti all'estero. Una parte della progressione di anzianità potrebbe essere redistribuita in base al merito.