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CRITICHE ALLA DIS-COLL PER I DOTTORANDI PDF Stampa E-mail

L'argomentazione che ha portato ad estendere la Dis-Coll anche ai dottorandi ha fatto leva sul fatto che i dottorandi devono essere iscritti alla gestione separata dell'Inps e per questo versano nel triennio contributi previdenziali assimilabili a quelli da lavoro dipendente. Tuttavia, l'iscrizione alla gestione separata è una soluzione tecnica valida soltanto ai fini pensionistici, dalla quale risulta alquanto forzato evincere l'assimilazione tra dottorato e attività lavorativa. Peraltro, l'introduzione della Dis-Coll ha comportato un aumento dell'aliquota contributiva per tutti i dottorandi dello 0,51 per cento, che contribuirà ulteriormente ad erodere l'importo della borsa. Quest'ultima si configura comunque come una borsa di studio, esente da imposizione fiscale, il che consente peraltro di contenerne il costo per gli atenei ai soli due terzi dei contributi previdenziali. Se, invece, la borsa diventasse reddito da lavoro, l'intero sistema andrebbe rivisitato altrimenti il costo da lavoro dipendente, a parità d'importo, diventerebbe alquanto insostenibile.
Se dunque il dottorato non è stato concepito, né tuttora si configura, quale attività lavorativa, a quale pro prevederne sottoposizione alle medesime regole inerenti all'attività lavorativa? È improprio ed anzi fuorviante parlare di precariato e disoccupazione nel dottorato di ricerca, semplicemente perché trattandosi di un percorso di formazione, esattamente come il percorso di studio all'università, non da diritto ad alcun posto di lavoro inteso in senso tradizionale, ma fornisce un titolo di studio che abilita alla formazione e alla ricerca sia in ambito pubblico sia privato. Per questo, il dottorato di ricerca dev'essere un'esperienza altamente qualificata di investimento e di formazione del capitale umano, indispensabile per accrescere le proprie credenziali, con ricadute in termini di premialità occupazionale. Non per questo è da sottovalutare la condizione di inattività che si materializza per molti dottorandi al termine del percorso formativo, ma le risposte dovrebbero essere trovate evitando il ricorso a misure assistenziali pubbliche, che assolvono unicamente a una funzione di ammortizzatore sociale e che risultano dall'estensione delle tutele concepite in un contesto e su presupposti completamente differenti. Il percorso dottorale, trasformato nell'ennesima categoria destinataria di misure di assistenzialismo e welfare pubblico, potrebbe essere così ridotto ad una categoria di precariato qualunque. (Fonte: G. Mulazzani, Ilsussidiario.net 16-08-17)