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RIFORMA DEL «3+2», UN MEZZO FALLIMENTO. NE PARLANO IVANO DIONIGI E LUIGI BERLINGUER PDF Stampa E-mail

La riforma del 1999 con il Dm 509 ha introdotto per la prima volta in Italia la novità del «3+2», una laurea triennale cui far seguire, in alcuni casi, una biennale specialistica (magistrale). Ma ancora oggi «oltre la metà dei laureati preferisce continuare a studiare», ricorda Ivano Dionigi, presidente del Consorzio AlmaLaurea. Il campanello d’allarme doveva suonare da subito quando già nei primissimi anni della riforma l’80% dei laureati di primo livello poi si iscriveva alla magistrale. Ma il trend anche se è rallentato non si è fermato. Perché? «Quando c’è stata la riforma gli atenei si sono trovati a dover riformulare i curricula di studi, ma a causa di cattive pratiche accademiche invece di costruire lauree triennali tagliate su misura delle esigenze dei territori, del mercato del lavoro e dunque della domanda si sono fatti i corsi in base all’offerta. Ha purtroppo prevalso uno spirito di autoconservazione. E così molte lauree triennali non sono appetibili e la crisi ha reso tutto più difficile». Su questo fronte comunque un primo passo si sta facendo. Anche se rinviate di un anno (al 2018) rispetto al previsto le università sono pronte a sperimentare - dopo il via libera del MIUR - le prime lauree professionalizzanti che prevedono un anno di teoria, uno di laboratorio e un ultimo on the job con l’obiettivo di formare figure già pronte per fare il proprio ingresso nel mercato del lavoro».
Ma la riforma era davvero indispensabile? Assolutamente si, risponde Luigi Berlinguer il “padre” della riforma. “La riforma è frutto di un processo europeo che puntava a rendere uguale la durata dei corsi di studio. Un passaggio cruciale che oggi consente ai nostri giovani di farsi riconoscere il proprio titolo di studio all'estero e lavorare così in un altro Paese europeo. E poi era giusto introdurre lauree di primo livello più brevi e funzionali visto che allora ben il 70% degli iscritti si perdeva per strada. Dove si è sbagliato allora? Innanzitutto, c'e stato un approccio dei docenti universitari frutto di una vecchia mentalità rigoristica che ha pensato di rinchiudere in tre anni quello che prima si faceva in quattro. E invece le lauree triennali dovevano essere diverse e più leggere. Colpa solo dell'università? La responsabilità è anche dello Stato e della politica che doveva lavorare per aiutare le università a definire il profilo e lo sbocco occupazionale per ogni laurea triennale. Era fondamentale far capire agli studenti che cosa potevano fare con quel titolo di studio se s’iscrivevano a un corso o a un altro. E questo si poteva e si doveva fare coinvolgendo il mondo delle imprese e delle professioni per definire questi profili. Cosa che non è stata ancora fatta. L'avvio delle lauree professionali, previste dal 2018 come sperimentazione, pub essere la giusta risposta? Si, può essere una via corretta a patto che si trovi il giusto equilibrio perché sempre lauree devono restare e quindi non si deve cancellare la componente culturale. E poi non devono confondersi con gli Its che hanno attivato corsi post diploma molto utili per l’inserimento nelle aziende di figure tecniche altamente specializzate. Corsi questi che purtroppo soffrono di poca comunicazione a famiglie e studenti. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 08-06-17)