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DIPARTIMENTI UMANISTICI CON CORSI A NUMERO CHIUSO PDF Stampa E-mail

Per far partire i corsi gli atenei devono rispettare un equilibrio tra il numero dei professori e quello degli iscritti: ci vogliono almeno 9 docenti di riferimento per il primo livello (la laurea triennale) e 6 per il secondo livello (quella specialistica). Solo che rispettare questa soglia è diventato sempre più difficile negli ultimi anni. Dal MIUR, a fine 2016, è arrivata una nuova direttiva che ha modificato diversi parametri per l’accreditamento dei corsi, il cosiddetto “codice Ava 2”. Il numero dei docenti di riferimento è rimasto invariato (sempre 9 per la triennale e 6 per la specialistica), ma è cambiata la soglia di studenti oltre ai quali devono aumentare in maniera proporzionale anche i professori. Per fare un esempio: fino a ieri per un corso triennale di lettere i 9 docenti di base dovevano crescere oltre i 230 iscritti, adesso l’aumento scatta già dopo i 200. E questo ha mandato in crisi alcuni corsi di laurea.
Alla Statale di Milano la questione è questa: nei dipartimenti umanistici della Statale (Lettere, Storia, Filosofia, Beni culturali e Beni ambientali) la crescita degli iscritti è stata forte, il 30 per cento in un anno. Mancano spazi e docenti per farvi fronte. Inoltre, il 21 per cento degli iscritti poi abbandona, a dimostrazione che almeno un quinto prende Lettere senza avere le idee chiare. In assenza del rettore, il preside Corrado Sinigaglia ha provato a spiegare: «Il ministero ha irrigidito i criteri di proporzione tra docenti e studenti, non riusciamo più a garantire la sostenibilità dei corsi. Dobbiamo contenere gli accessi già dal prossimo anno accademico».
Lo stesso problema — nuovi accessi programmati — si sta proponendo all’Università di Firenze. Lo denunciano gli studenti dell’Udu. Sono in arrivo, il 26 maggio, numero chiuso e frequenza obbligatoria in Scienze dell’educazione e della formazione (500 posti) e Scienze farmaceutiche applicate (150 posti). Il rettore Luigi Dei: «Gli studenti non possono certo presentarsi a lezione senza trovare posto a sedere o essere costretti a lavorare pressati in un laboratorio». L’ultimo dato in possesso del MIUR, sull’argomento, è del 2014. Parla del 39 per cento dei corsi di studio delle università italiane “a numero programmato”: 1.671 su 4.311. È ipotizzabile che nel 2017 si sia arrivati alla metà dell’intera platea. (Fonte: C. Zunino, La Repubblica 15-05-17)