Guardando all’Unione europea, quello che sta accadendo non è tanto una fuga dei cervelli, quanto più propriamente una riconfigurazione dei cervelli, non proprio bilanciata, che potrebbe minare la competitività scientifica in Europa. A sottolinearlo sono due articoli che hanno analizzato il movimento dei cervelli, capitale umano, e di collaborazioni scientifiche, prima e dopo l’allargamento a Est dell’Unione europea del 2004-2007. Per Fabio Pammolli del Politecnico di Milano l’intento era quello di comprendere come un cambiamento istituzionale macroscopico come l’allargamento dell’Ue e quindi l’integrazione dei mercati, influenzasse il sistema della ricerca. Vediamo, si sono chiesti Pammolli e collaboratori, se l’ingresso nell’Ue ha avuto degli effetti di temporanea instabilità sugli aspetti legati ai sistemi nazionali di ricerca e innovazione dei paesi coinvolti. Per farlo, hanno deciso di analizzare la struttura delle collaborazioni internazionali dei paesi prima e dopo l’ingresso nell’Unione europea, prendendo in analisi milioni di paper nel periodo compreso tra il 1996 e il 2012. Al tempo stesso i ricercatori hanno analizzato gli investimenti dei governi, mobilità e migrazione dei cervelli. Mettendo insieme i risultati, pubblicati su Science Advances, quello che è emerso chiaramente è che l’allargamento dell’Ue non ha aumentato le collaborazioni internazionali tra i nuovi e i paesi già membri. Si è verificato un movimento da Est verso Ovest soprattutto, come raccontano anche i dati raccolti da Alexander M. Peterson, coautore su Science Advances di uno studio gemello, uscito in contemporanea su Journal of the Royal Society Interface. “Osserviamo una perdita netta di capitale umano da Est verso Ovest, che rappresenta il 29% della mobilità totale dopo il 2004”, scrivono gli autori, “Tuttavia, la contro-migrazione da ovest verso est è il 7% della mobilità totale nello stesso periodo di tempo”. Un segnale più che di fuga di cervelli, di circolazione di cervelli. (Fonte: A. L. Bonfranceschi, Wired 14-04-17)
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