Autore: Ivano Dionigi. Ed. Mondadori, Saggi, 2016. 112 pgg. Il latino è lingua dell’imperium e dell’ecclesia, della politica e della scienza, che ci ha fatto da tramite con il sapere giudaico e quello greco. Certo anche senza latino si può vivere, ma forse un po’ peggio, almeno secondo i suoi sponsor (parola latina come deficit, referendum, virus, cellula; ma anche media, audio, monitor e computer…). I motivi non mancano: “Innanzitutto è la mater certa del nostro italiano – spiega l’autore al Bo – se vogliamo usare bene la nostra lingua è sempre meglio conoscere l’origine delle parole, la cosiddetta etimologia. Il rischio altrimenti è di limitarsi a ripetere ovvietà: i verba obvia di cui parla Frontone. Parole che usiamo solo perché letteralmente ‘ci vengono incontro per via’, che ci scelgono e non scegliamo”. Il latino serve insomma a parlare e a scrivere bene le altre lingue, compreso l’inglese (che da esso deriva una gran parte dei suoi vocaboli): “Troppo spesso oggi usiamo parole cadaveriche, stinte nel loro significato, quando invece i grandi autori del passato ci insegnano il potere enorme della parola: ‘sovrano potente’ secondo Gorgia perché ‘minuta e invisibile’ compie i più grandi miracoli ...”. Un secondo motivo, al di là del dato disciplinare, sta nel senso della storia: “Il latino ci trasmette una cultura profondamente basata sullo scorrere del tempo: basti pensare alla consecutio temporum, o al diritto romano, opus commune et perpetuum. Oggi tendiamo a essere schiacciati sulla contemporaneità, mentre avremmo bisogno di affiancare al discorso tecnologico, che dilata lo spazio, quello umanistico, che invece dilata il tempo”. Una ragione ulteriore sta infine nel profondo rapporto che nella nostra civiltà si è creato tra studio dei classici e umanesimo: “Oggi a rispondere a molte delle nostre esigenze c’è la tecnologia, ma chi ci aiuta a porre le domande giuste? E chi ci avverte che per ogni risposta ci sono nuove domande che si pongono? C’è un sapere altro rispetto a quello tecnologico, che opera per accumulo e non butta via le cose vecchie come se non servissero più”. Il latino insomma ha ancora molto da dire, anche perché insegna a studiare e ad apprendere, funzioni che oggi non sono limitate agli anni della scuola e dell’università ma si allargano a comprendere tutto l’arco della vita. Oggi la scuola deve formare cittadini completi e non semplicemente ‘utili impiegati’, come direbbe Nietzsche. E anche qui l’esercizio del tradurre serve a distendere l’arco del tempo e, per dirla con Petrarca a “guardare contemporaneamente avanti e indietro” (simul ante retroque prospicientes). (Fonte: D. Mont D’Arpizio, IlBo 08-02-17)
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