Home 2017 20 marzo VARIE LA FRODE SCIENTIFICA
LA FRODE SCIENTIFICA PDF Stampa E-mail

Il metodo scientifico non è soltanto un insieme di procedure e di regole astratte. Contempla anche norme di comportamento, forse addirittura un “codice d’onore” come pensava Karl Popper, ovvero: la trasparenza verso il resto della comunità scientifica e verso la società, il rispetto delle evidenze e del giudizio dei pari, la riproducibilità degli esperimenti, la disponibilità al fatto che altri colleghi controllino ed eventualmente confutino i risultati raggiunti. Questa etica scientifica si basa a sua volta su valori più profondi, come l’onestà intellettuale e lo scetticismo sistematico. Lo scienziato corretto dovrebbe insomma tenere a bada i suoi “pregiudizi di conferma” e non innamorarsi mai troppo delle sue idee e teorie. L’effetto complessivo è quello di una libera comunità di pari che apprendono dai propri errori e si auto-correggono costantemente.
Questi buoni propositi si scontrano tuttavia con la realtà. Secondo diverse indagini recenti, la frode scientifica è un fenomeno più frequente di quanto si pensasse. Può darsi che la crescita delle segnalazioni e delle ritrattazioni di articoli pubblicati sia dovuta all’aumento dei controlli, ma qualcosa lascia pensare che il fenomeno sia realmente sottostimato. Come spiega Enrico Bucci in “Cattivi scienziati” (Add Edizioni, Torino, 2015), la frode scientifica si divide in tre categorie: la fabbricazione di articoli basati su dati falsi o inventati da zero; la falsificazione o manipolazione intenzionale dei dati (soprattutto aggiustando ad hoc immagini e statistiche) per avvalorare una tesi (magari anche vera, ma sostenuta in modo metodologicamente scorretto); il plagio di lavori altrui e l’auto-plagio, cioè il vizio di moltiplicare gli articoli sullo stesso esperimento. Gli scienziati che barano non sono casi isolati, ma il prodotto di meccanismi degenerativi che facilitano comportamenti scorretti e che si stanno acuendo negli ultimi anni. Tra questi: l’eccessiva pressione a pubblicare; la competizione fortissima in certi campi; il ritmo forsennato di produzione dei lavori scientifici (due milioni circa pubblicati ogni anno); la necessità di tenere sempre alta la visibilità mediatica sui propri risultati per ottenere finanziamenti (trasformando sempre più spesso la comunicazione della scienza in marketing); il business delle riviste scientifiche a pagamento e delle riviste pirata; il senso di impunità derivante da scarsi controlli; l’istinto difensivo delle comunità scientifiche stesse; la vorace ricerca di citazioni per alzare i propri indici bibliometrici. (Fonte: T. Pievani, IlBo 10-01-17)