La Commissione cultura del Senato ha chiesto di non consentire alle università di avvalersi dei risultati Invalsi, oltre che dei voti scolastici, per decidere chi ammettere ai loro corsi. Per quale motivo impedire alle università di osservare i risultati delle prove Invalsi, costringendole a utilizzare una parte rilevante delle loro (scarse) risorse per organizzare test di ingresso alternativi? Ha senso lamentarsi dei tagli ai fondi degli atenei, per poi sprecarli in questo modo? Nel resto del mondo è normale che prove nazionali multiple, analoghe a quelle Invalsi, vengano usate dagli atenei per decidere quali studenti ammettere. Si fa davvero fatica a trovare una logica in questo parere. Le università sono, purtroppo, piene di studenti che dopo il primo anno si accorgono di aver fatto scelte sbagliate. Per esempio, studenti che con voti di maturità stratosferici si iscrivono a corsi di ingegneria, fisica e matematica dove non riescono a superare neppure gli esami iniziali. Per altro verso, è lecito ipotizzare che esistano studenti con elevate competenze logico matematiche, osservabili in un test Invalsi, i quali a causa di un basso voto di maturità ottenuto in licei stretti di manica, rinunciano alla carriera universitaria che sarebbe ideale per loro. Il giudizio complessivo, ma soggettivo, dei professori è importante. Altrettanto importante, però, è poter disporre di un giudizio oggettivo, ancorché parziale, per comprendere in modo comparativo il livello di competenze acquisite. Come nella valutazione diagnostica di un medico: servono misure strumentali (termometro, pressione, esami del sangue), almeno quanto il fiuto del bravo clinico. Aprire a tutti le porte dei corsi di medicina vuol dire avere medici peggiori. Se chi non è portato per la matematica va a fare l’ingegnere, saranno a rischio i ponti, le case e gli aerei che quell’ingegnere costruirà. Per altro verso, il timore che i meno abbienti siano svantaggiati da test uguali per tutti, come quelli Invalsi, è ingiustificato. Se mai vale il contrario: in questi test si compete ad armi pari, perché non contano le circostanze e neanche gli opportunismi che possono condizionare il giudizio dei professori. (Fonte: A. Ichino, CorSera 11-03-17)
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