La manovra approvata con il DL 78 del 31 maggio 2010 - sicuramente necessaria nella sua dimensione complessiva, considerando la situazione finanziaria del nostro Paese ed il quadro europeo e mondiale - appare, tuttavia, elaborata in modo precipitoso e disorganico. Si tratta infatti ancora una volta di tagli orizzontali, non selettivi, e comunque non dei necessari interventi strutturali sulle cause profonde del dissesto della nostra spesa pubblica. Inoltre, in assenza di misure per lo sviluppo, questi tagli avranno effetti certamente recessivi, come evidenziato anche dalla Banca d’Italia in audizioni parlamentari. La manovra è inoltre mal orientata. Emerge con chiarezza, anche da recenti dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia, che la causa dell’attuale dissesto risiede soprattutto nell’evasione dell’IVA, e in genere delle imposte, negli ultimi decenni. La lotta all’evasione, perciò, dovrebbe essere un indirizzo costante nelle politiche governative, e non, come appare nella manovra, una pratica da tirar fuori quando vi sia emergenza. Di fatto questa manovra, piuttosto che colpire i ceti responsabili dell’evasione fiscale, colpisce, insieme agli altri lavoratori dipendenti, i soli che pagano fedelmente le tasse fino all’ultimo centesimo: i dipendenti pubblici. Le tardive misure sull’evasione e i flebili interventi sui costi della politica sono segnali di fumo.
E’ pesante, invece, l’intervento sul pubblico impiego e pesantissimo quello sulla dirigenza pubblica, sulla quale grava una particolare debolezza sociale e sindacale. I dirigenti e i professionisti pubblici pagano più volte. In particolare: pagano per il congelamento del triennio contrattuale 2010-2012, come le altre categorie del pubblico impiego; il congelamento comporta la perdita permanente di un triennio di inflazione, ed inoltre rappresenta il fallimento, per responsabilità del Governo, del nuovo modello contrattuale definito dall’Accordo dell’Aprile 2009; pagano per il taglio unilaterale delle retribuzioni contrattuali, nella misura del 5% oltre i 90.000 € e del 10 % oltre i 150.000 €; pagano per il blocco, nei prossimi 4 anni, delle retribuzioni e degli effetti economici delle progressioni automatiche e delle promozioni anche per merito; pagano per lo scaglionamento delle buonuscite nel triennio successivo al pensionamento e per un trattamento di fine rapporto che dal 2011 verrà ricondotto ad un regime meno vantaggioso. Sono queste le pesanti penalizzazioni che emergono dal testo del decreto nella sua versione definitiva, pubblicata a sei giorni di distanza da un Consiglio dei Ministri che, in tutta evidenza, lo ha approvato solo in copertina. Una fortissima criticità di ordine generale emerge anche in relazione alle prospettive di riforma nel senso del riconoscimento del merito e della valutazione della qualità del lavoro nelle PP.AA; prospettive che erano comunque state sviluppate dall’iniziativa del Ministro Brunetta, pur con i limiti di un’impostazione dirigista e di qualche forzatura propagandistica. Il blocco dei contratti, il divieto di reformatio in melius delle retribuzioni, le promozioni per merito con effetti solo giuridici, i tagli orizzontali vengono a chiudere ogni possibilità di intervenire nella direzione di pagare di più chi lavora di più e meglio, per i dirigenti come per i dipendenti. Il decreto quindi nega gli stessi slogan che il Governo ha più volte lanciato, dimostrando di non essere coerente col suo stesso indirizzo politico, ma di fondarsi sull’esigenza di far cassa, di far propaganda, di indebolire le Istituzioni. Per le categorie rappresentate, CIDA FP, CONFEDIR P.A., SINPREF, SNDMAE, USPUR e ANDIGEL respingono con fermezza il tentativo di accomunare i dirigenti pubblici al ceto politico nella responsabilità per i privilegi e gli sprechi del sistema amministrativo. I dirigenti, i professionisti e i quadri direttivi di carriera, al loro posto di lavoro per aver vinto uno o più concorsi pubblici, mandano avanti col proprio impegno quotidiano uffici in Italia e all’estero, scuole, università,ospedali, servizi alle imprese e alla cittadinanza. Diverso discorso è quello che riguarda i dirigenti esterni “nominati” dal vertice politico delle amministrazioni, per ragioni che spesso non hanno nulla a che fare col servizio pubblico: è qui, oltre che sulle consulenze, che dovrebbe utilmente usarsi la scure. L’ uso clientelare dello spoils system è uno degli sprechi più intollerabili nelle PP.AA. I dirigenti, i professionisti di carriera e i professori universitari non si vogliono sottrarre alle loro responsabilità in un momento così difficile per il Paese e sono pronti ad alcuni sacrifici. Però ribadiscono con forza che al di sotto di un certo livello di risorse le Amministrazioni pubbliche non possono funzionare; perciò, se occorrono tagli, questi non possono comunque spingersi sino al livello di ledere la funzionalità delle strutture. Ne deriverebbe non un risparmio, ma, attraverso lo smantellamento de facto delle Amministrazioni Pubbliche, un danno drammatico per il Paese. CIDA FP, CONFEDIR P.A., SINPREF, SNDMAE, USPUR e ANDIGEL a nome delle categorie rappresentate, confermano la disponibilità a fare la propria parte, mettendo in campo proposte alternative su tagli selettivi e ristrutturazione degli organici dirigenziali, negli incontri richiesti a rappresentanti del Governo e delle forze politiche in vista dell’imminente confronto parlamentare. Su queste posizioni, CIDA FP, CONFEDIR P.A., SINPREF, SNDMAE, USPUR e ANDIGEL convocano insieme una Manifestazione nazionale di protesta a Roma per il prossimo 23 giugno, cui seguiranno Assemblee di dirigenti, professionisti, docenti universitari e quadri direttivi sul territorio nazionale, per mobilitare le categorie ed orientare l’opinione pubblica. In prospettiva, questa mobilitazione ha l’obiettivo di rafforzare il senso di sé della dirigenza pubblica di carriera, ovvero sviluppare una cultura dirigenziale che ritrovi in sé stessa le ragioni della propria valorizzazione e gli strumenti della propria tutela, senza delegarli né alla politica né alle grandi centrali sindacali. Questa manifestazione si rivolge soprattutto a chi debba pensare al benessere dei cittadini, al progresso della cultura e della ricerca del Paese e al futuro dell’economia: le incongruenze del Decreto andranno a maggior danno dell’economia, dell’interesse comune, della legalità e del diritto; di esse beneficerà solo una ristretta élite di potere e di affari, che continuerà a veder crescere la propria ricchezza, anche a livelli insensati, e il proprio potere. Essa si rivolge quindi al Governo: le Istituzioni sovrane dello Stato sono vitali in un Paese, quale che ne sia l’orientamento (Stato più o meno interventista in economia) e la forma (unitario o federale). Sfasciare lo Stato, o indebolirlo, non aiuterà nemmeno la formazione di uno Stato federale, non aiuterà a contrastare l’evasione fiscale e le mafie, diminuirà, forse irreparabilmente, la proiezione internazionale dell’Italia, la sicurezza interna ed esterna, la speranza di una vita pubblica serena e garantita da principi etici e funzionali superiori alla quotidianità della politica. Si rivolge inoltre alle fonti di informazione: riportino bene, queste, e nei loro giusti toni, gli argomenti che si sono sollevati, per una corretta e completa informazione dei cittadini. Si rivolge, infine, all’opinione pubblica: non creda, questa, alle storture della propaganda, ma alla realtà delle cose. Chiediamo pertanto al Parlamento di utilizzare con senso di responsabilità ogni spazio di miglioramento del Decreto, al fine di poter ottenere i risparmi desiderati senza innescare meccaniche dannose per il funzionamento della Pubblica Amministrazione, e dannosissime, di conseguenza, ben al di là di ogni falsa retorica e di ogni propaganda, per lo stesso funzionamento del sistema paese nel suo complesso, dell’economia, della società italiana. (CIDA FP, CONFEDIR P.A., SINPREF, SNDMAE, USPUR e ANDIGEL) |