Home 2010 06 Giugno Riforma a costo zero
Riforma a costo zero PDF Stampa E-mail
E' in arrivo un ennesimo intervento legislativo sull’università: il disegno di legge Gelmini-Tremonti. I ministri sono così benintenzionati che ci potrebbe scappare  davvero la riforma.  Ma non esiste riforma a costo zero e per riconoscere finalmente il merito - come il ddl dice di voler fare - bisogna dotare l’università di risorse aggiuntive, un fondo premiale,  per cui competere, a meno che Tremonti non voglia fare le nozze con i fichi secchi. Sembra che nella visione strategica del Governo non rientri l’università come promotrice dello sviluppo del Paese. Come si fa a non capire che, nonostante le chiacchiere di un’informazione demagogica attenta solo a ricercatori che vogliono far carriera per anzianità, baroni o baronetti, una casta di privilegiati e fannulloni da colpire con il taglio del fondo di finanziamento ordinario, imboscati del pubblico impiego, sono in gioco gli investimenti in un settore trainante dello sviluppo, le aspettative di centinaia di migliaia di studenti e delle famiglie che investono nella formazione, la prospettiva di creare un’economia avanzata della conoscenza in grado di competere sul mercato globale. Il sistema università costa 7 miliardi di euro all’anno, lo 0,7% della spesa statale complessiva. La legge 133/08 ha ridotto il fondo di finanziamento ordinario di 63,5 milioni di euro per il 2009, di 190 milioni di euro per il 2010, di 316 milioni di euro per il 2011, di 417 milioni di euro per il 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dal 2013. Insomma, nell’arco di cinque anni il fondo di finanziamento ordinario verrà tagliato di 1,4 miliardi di euro, cioè del 20%, senza calcolare l’inflazione.  Un conto è razionalizzare la spesa e introdurre rigorosi controlli degli sprechi, altro persistere a penalizzare un settore strategico, tanto più che, mentre si continua a tagliare sulla ricerca, si trovano i soldi per incentivare l’acquisto di lavatrici, motorini e perfino cappe del camino: 300 milioni di euro solo per il 2010.  Il bottegaio fa qualche affare, ma il Paese sprofonda! In realtà il Governo ha una strategia: incentivare la ricerca sfruttando le briciole che rimangono del fondo di finanziamento dell’università dopo aver pagato gli stipendi, che attualmente ne assorbono più del 90%. E’ stato introdotto un nuovo metodo di finanziamento: il 7% delle risorse sarà assegnato sulla base del merito. Restando ferme queste percentuali, nel 2013 la ricerca italiana sarà incentivata dallo Stato con 390 milioni di euro. Ai ricercatori quasi conviene mettersi a vendere lavatrici. Per rilanciare il sistema dell’università e della ricerca occorre creare un meccanismo di competizione per le risorse, per i docenti e per gli studenti.  Bisogna dare ai dipartimenti, cioè le strutture alle quali il disegno di legge del ministro Gelmini attribuisce insieme compiti di ricerca e di didattica, la responsabilità di selezionare, attraverso procedure trasparenti, il personale docente che consenta loro di attirare una quota maggiore di fondi e di incrementare il numero di studenti. Non ci può essere riconoscimento del merito senza la chiara assunzione di responsabilità  per le scelte che vengono fatte in materia di ricerca e di didattica. Un  tale sistema si basa su due presupposti:  1 - Combattere l’idea che tutte le università diano un titolo ugualmente spendibile: la creazione di un nuovo modello sociale in cui il cittadino sceglie la sede dei propri studi alla luce di valutazioni qualitative richiede la diffusione di una cultura diversa che passa attraverso l’abrogazione del “valore legale” del titolo di studio; il pezzo di carta che vi mettono in mano a fine corsa non conta, contano le conoscenze che avete acquisito.  2 - Liberare le università dal vincolo di un preponderante finanziamento pubblico, dando loro la possibilità di concorrere in maniera significativa al proprio fabbisogno: abolire, cioè, il tetto del 20% che attualmente è la quota del bilancio di ciascun ateneo che può essere coperta con le tasse di iscrizione. Liberalizzare le tasse è l’unico modo che le università hanno per creare risorse proprie aggiuntive da destinare all’erogazione di borse di studio.  Le singole strutture devono avere in mano tutti gli strumenti per migliorare e realizzare le loro politiche in materia di didattica e di ricerca secondo un’ottica che premi il merito e non secondo una visione centralista. Riformare l’università, responsabilizzando con premi e penalità le amministrazioni, i dipartimenti e i docenti, è il primo passo per ridare all’accademia italiana il suo ruolo di volano di sviluppo economico e culturale, ma nessuna riforma si fa a costo zero. (G. Simi e A. Francioni, Terra 27-05-2010)