Home 2016 20 ottobre BRAIN DRAIN, CORRUZIONE E NEPOTISMO ACCADEMICO NEPOTISMO ACCADEMICO. UN COLLAGE DI OPINIONI
NEPOTISMO ACCADEMICO. UN COLLAGE DI OPINIONI PDF Stampa E-mail

In molti stati europei non esistono i concorsi pubblici. il professore sceglie il candidato che preferisce, in base ad un colloquio o alla conoscenza di un candidato che ha conosciuto grazie a collaborazioni durate anni. In base ai risultati che il gruppo del professore consegue riceverà i fondi per l'anno a seguire dunque è suo interesse scegliere un buon candidato. Credo che questo sia il miglior modello e credo che anche in molti concorsi italiani truccati la logica in realtà sia quella di assumere una persona che si conosce bene e non una che si è conosciuta tramite un concorso, la cui preparazione e professionalità può essere verficata in modo poco approfondito. (irob, FQ 25-09-16)
Nel sistema universitario la corruzione e' inferiore a quello di quasi tutti i settori della Pubblica Amministrazione, delle amministrazioni locali, della Sanità, della cosiddetta libera stampa, del sistema bancario-finanziario delle professioni tipo medico, avvocato, dentista etc... I concorsi discussi sono in percentuali pochi e in grandissima parte collegati alle facolta' professionali tipo medicina o giurisprudenza. In Italia le aree scientifiche di base come fisica, matematica, etc sono di altissimo livello internazionale sono essenzialmente (dati SCIMAGO SCOPUS o ISI di Thomson Reuters) nel G8 della scienza mondiale, con una produttivita' mostruosa rispetto ai fondi ricevuti.
I giovani cacciati dal clientelismo? No, perchè quelli che vanno fuori vengono da settori scientificamente forti mentre la corruzione e' tipica dei settori deboli. (Boezio daRainaldo, FQ 25-09-16)
Basterebbe abolire i concorsi, lasciare autonomia ai docenti sulle assunzioni come nei paesi anglosassoni e incentivare i gruppi di ricerca che portano fondi e producono risultati di qualità. E vedreste che nel giro di pochi anni e senza bisogno di tribunali non solo il problema sarebbe risolto ma ci sarebbe un rifiorire dell'università e della cultura (fiore2011, FQ 25-09-16)
Qualcuno si spinge a ricordare che del nepotismo accademico italiano era stata persino fornita una prova scientifica incontrovertibile, basata sull’analisi della frequenze delle omonimie tra i cognomi dei docenti. Perotti e Allesina erano due studiosi che si erano cimentati in questo compito e molti danno credito ai loro risultati. Ma dal punto di vista scientifico le cose sono meno scontate di quanto si creda. Anzi, se si fa un’operazione semplice semplice, come andare a contare il numero di omonimie in eccesso, si scopre che, sul totale dei docenti analizzati da Allesina, le omonimie in eccesso erano pari all’1,36%. Sembrerebbe che, insieme alla spesa per studente “più alta del mondo dopo Usa, Svizzera e Svezia” e all’università italiana che “non ha un ruolo significativo nel panorama della ricerca mondiale“, anche le dilaganti “omonimie in cattedra” siano l’una delle tante bufale di cui si è nutrito il dibattito sull’università italiana in questi ultimi anni. (G.De Nicolao, Roars 25-09-16)
Senza evidentemente negare che un po' tutta la società italiana è ammorbata dal "familismo amorale", temo che queste polemiche assai vaghe, che tanto appassionano il pubblico, finiscano per nascondere da un lato la disgraziatissima situazione finanziaria in cui versano la maggior parte degli atenei medi e piccoli, che non sono in grado di procedere col ricambio generazionale, e dall'altro i movimenti tellurici in corso, tendenti a salvare pochi "competence centers", ossia pochi grossi atenei, in piena espansione e che potranno ancora realmente bandire "concorsi".Si sta aprendo una forbice tendente a separare in via definitiva didattica e ricerca, tra pochi atenei (quasi tutti al nord) e il resto degli atenei, la cui prospettiva è quella di essere ridotti al rango minore di "teaching university", con poco personale di ruolo e molti precari. (Stavrogin, FQ 25-09-16)
Se il nepotismo (biologico) è davvero quel cancro che dicono, i figli di papà dovrebbero fare peggio degli altri. Ma non è così. Lasciamolo spiegare a loro: Per provare a dirimere la questione, abbiamo confrontato individualmente la performance di ricerca dei “figli” con quella dei “non figli” dello stesso settore scientifico disciplinare, ruolo d’inquadramento e anzianità. La misura, condotta con tecniche bibliometriche, ha riguardato la produttività di ricerca nel quinquennio 2004-2008 degli accademici delle discipline scientifico-tecnologiche assunti o avanzati di ruolo nei tre anni precedenti. I risultati rivelano che in media i “figli”, la cui concentrazione è piuttosto omogenea nelle diverse aree disciplinari analizzate, hanno una performance di ricerca che non è significativamente diversa da quella dei colleghi “non figli”. Un approfondimento a livello geografico ha mostrato addirittura che nelle università del Centro Italia i “figli” hanno in media una produttività di ricerca maggiore di quella dei “non figli”, mentre al Nord e al Sud i valori di produttività sono pressoché identici. Insomma, lo studio di Allesina ha suscitato alcune controversie, sia di natura tecnica sia in relazione all’interpretazione dei risultati. Anche se diverse questioni rimangono aperte, va comunque detto che il lavoro di Abramo e Ciriaco (prendono il toro per le corna e, con l’ausilio del database bibliometrico Web of Science studiano direttamente le performance dei figli) incrina non poco gli argomenti di chi identifica nel nepotismo biologico una delle cause principali del malessere dell’accademia italiana. (G. De Nicolao, Roars 25-09-16)
La relazione che inficia l’obiettività di ogni selezione accademica è la discendenza accademica, non quella fisica. E il condizionamento non è sempre necessariamente determinato dalla malafede, quanto piuttosto (e per mia esperienza quasi sempre) dalla vanità del docente che nella sua veste di ricercatore ritiene che la propria ricerca sia la cosa più importante da fare al mondo e che pertanto il proprio allievo, occupandosi di quella stessa ricerca, sia per definizione la persona giusta da selezionare, dal momento che altri candidati rischierebbero di occuparsi di qualcos’altro. Non esiste nessun meccanismo concorsuale che permetta di prevenire questo fenomeno: in Italia ne abbiamo sperimentati almeno una decina nel corso dell’ultimo secolo, e nessuno ha mai funzionato. (P. Rossi, Roars 25-09-16).
In realtà, i dati sul nepotismo accademico (
PLoS ONE 6(8):e21160 · August 2011) provano che è un fenomeno limitato. Se sommiamo tutti i “possibili nepoti” ne otteniamo 738, che su 32.000 docenti rappresentano un misero 2.3% del totale. Volendo includere anche coniugi e amanti (che non hanno lo stesso cognome) a quanto si potrebbe arrivare? Forse al 5%? La conclusione è che il nepotismo accademico è un fenomeno marginale nell’accademia italiana. (M. Bella, FQ 27-09-16)
Non ci sono né settemila casi di omonimia, né settemila parenti, né settemila “cattedre trasmesse di padre in figlio”. Ci sono 833 casi di cognomi uguali in eccesso rispetto a quanto una distribuzione statistica più simile a quella della popolazione totale si aspetterebbe. Ma questo, cosa prova? Nell’interpretare i numeri non bisogna equivocare tra significatività statistica e significatività pratica, “una differenza che si insegna nei corsi di base di statistica” ci dice De Nicolao. Che in nove settori disciplinari, il numero di omonimie non appaia meramente casuale è un risultato statisticamente significativo ma non implica che l’entità dello scostamento sia significativa dal punto di vista pratico, cioè che la differenza statistica provi ciò che Allesina vuole dimostrare. Qualsiasi sociologo potrebbe spiegare, per esempio, che esiste una cosa chiamata capitale sociale, cioè una rete di relazioni, interessi di ricerca, stimoli, che possono spingere i figli a fare la stessa professione dei genitori, il che non significa che siano stati i padri a farli entrare all’università, anche se questo è ovviamente possibile. (F. Tonello, IlBo 26-09-16)