Home 2016 5 settembre LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE POST LAUREA-OCCUPAZIONE CORSI IN LINGUA INGLESE. IL PRORETTORE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELL’UNIBO: NON BASTA TRADURRE I CORSI PER RENDERLI INTERNAZIONALI
CORSI IN LINGUA INGLESE. IL PRORETTORE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELL’UNIBO: NON BASTA TRADURRE I CORSI PER RENDERLI INTERNAZIONALI PDF Stampa E-mail

Quando si parla degli handicap nell'attrattività delle nostre università, gli indiziati più comuni sono due: la scarsità di programmi in lingua inglese e un costo medio delle rette più elevato di quelli fissati nel resto d'Europa, dalla Francia alla Scandinavia. Nel dettaglio? Il portale Universitaly stima un totale di 245 corsi universitari in lingua inglese in 52 atenei, con il predominio degli atenei che si rivolgono di più a matricole ed exchange students internazionali: più di 20 solo al Politecnico di Milano, 18 all'Università degli studi di Bologna e 8 alla Bocconi, senza contare l'offerta di master e corsi post lauream. Numeri in ascesa, ma ancora indietro rispetto ai 700 programmi in lingua inglese della sola (e più piccola) Danimarca, i 1.262 della Francia e i 1.801 della Germania. Anche più sfavorevole, in proporzione, il confronto sui costi. La media delle tasse universitarie previste in Italia viaggia poco sopra i 1000 euro. Una cifra imparagonabile alle rette stellari delle università britanniche, ma comunque ben al di sopra della cifra tonda richiesta nei Paesi già citati sopra: zero. In Danimarca, come anche in Svezia e Finlandia, gli studenti Ue possono iscriversi gratuitamente ai corsi di laurea triennali (bachelor) e magistrali (master). In Francia le tasse per un corso triennale in un ateneo pubblico viaggiano su una media di 190 euro l'anno, in Germania sono state abolite le rette per le lauree di primo livello e – se si è frequentato il triennio nella stessa università – anche per i master. Alessandra Scagliarini, prorettore alle Relazioni internazionali dell'Università di Bologna: non basta “tradurre” i corsi, serve una regia. Insomma: basterebbe aumentare l'offerta di corsi in inglese e diminuire i costi di ingresso, sulla scia di quanto è stato fatto in Germania? Alessandra Scagliarini invita a non cadere nella semplificazione di un rapporto diretto tra corsi in inglese ed internazionalità. «Non basta tradurre un corso in lingua inglese per renderlo “internazionale” ed ugualmente efficace. Il metodo d'insegnamento anglosassone è differente dal nostro, i docenti necessitano quindi di un fattivo supporto e le strutture di risorse dedicate all'internazionalizzazione dei corsi – dice Scagliarini -. Probabilmente non tutti gli atenei sono in grado di mettere in campo queste risorse in periodo di importanti tagli al fondo di funzionamento e al turn over». (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 10-07-16)