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RICERCA. PER GLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA SEGNALI ALLARMANTI PDF Stampa E-mail

Come primo segnale il 26 febbraio scorso, un decreto del ministro Giannini sul reclutamento di 215 giovani ricercatori negli enti di ricerca privilegiando quelli con meno di cinque anni dal dottorato. Il proposito potrebbe essere positivo se fosse stato preceduto da una politica di investimento. Nello stato attuale, con gli enti di ricerca che non effettuano un reale reclutamento da ben oltre cinque anni, soprattutto per mancanza di risorse economiche governative, questa appare una misura ingiustamente punitiva per tutti i giovani che operano nella ricerca da oltre cinque anni cui non è stata offerta nessuna reale prospettiva negli ultimi anni.
Il secondo segnale, il 26 marzo successivo è l’annuncio del premier di reclutamenti “per chiamata diretta”, che il Cnr sarebbe in procinto di fare, con fondi propri, ai vincitori di Erc da reclutare in ruoli apicali. Sorvolando sul fatto che il Cnr è un ente autonomo, la cui autonomia discende da un principio fondante (l’articolo 33 della carta costituzionale) e che, ad oggi, non ha deliberato su decisioni preannunciate sulle colonne di un quotidiano, quale sarebbe la logica di una tale operazione? Nelle attuali condizioni di fragilità, se il sistema non ritrova condizioni stabili ed affidabili di efficienza, alcuni isolati vincitori di Erc non potrebbero fare molto, i fondi straordinari stanziati per loro non garantirebbero lo sviluppo delle loro ricerche né la valorizzazione dei giovani colleghi che ne rappresentano il futuro.
In una terza linea, le bozze del decreto attuativo della “delega per la riforma delle amministrazioni pubbliche” prevedono una riforma della figura professionale dei ricercatori e tecnologi degli Enti e nuove modalità di assunzione, la principale delle quali è il cosiddetto “tenure track. Tale modalità è simile a quanto avviene già nelle Università, in cui i giovani ricercatori saranno reclutati con contratti a tempo determinato, di 3 anni rinnovabili una sola volta per poi passare direttamente al ruolo di Primo Ricercatore – equivalente del Professore associato universitario. Ancora una volta, tali riforme che potrebbero fungere da stimolo per un rilancio della Ricerca in Italia, se sprovviste di un reale investimento economico, rischiano di rivelarsi sterili se non contro-produttive nei confronti di chi opera già negli enti di ricerca.
Occorre che entrino nella nostra prassi il superamento delle modalità a chiamata, la selezione di buoni progetti mediante bandi pubblici e valutazione di “peer” come nel resto del mondo, la trasparenza, la certezza della regolarità degli interventi (finanziamenti, assunzioni, carriere).
(Fonte: V. Mocella,
http://tinyurl.com/h6szrx3 20-05-16)