Home 2016 18 maggio RICERCA. VALUTAZIONE DELLA RICERCA COME OPERA ANVUR. UNA CRITICA SERRATA
COME OPERA ANVUR. UNA CRITICA SERRATA PDF Stampa E-mail

Anvur opera così. Cala dall’alto, senza alcuna possibilità di interlocuzione con le associazioni scientifiche e tantomeno con singoli docenti, un elenco di riviste sulle quali i ricercatori italiani devono pubblicare: devono nel senso che l’assenza di loro pubblicazioni in quelle riviste comporta una decurtazione di finanziamenti per l’Istituzione nella quale lavorano. La si potrebbe definire Scienza di Stato. Anvur non valuta tutto ciò che, oltre la ricerca, fanno i professori universitari: didattica, impegni istituzionali, partecipazione a convegni, per una quantità di ore lavoro che, in molti casi, supera di gran lunga le otto ore giornaliere, compresi i fine settimana. I componenti dell’Anvur, poi, non sono eletti ma nominati dal Ministero, con procedure alquanto opache. Anvur, infine, ha un costo di funzionamento stimabile intorno a decine di milioni di euro annui: non è poco.
La selezione delle riviste è fatta sulla base del cosiddetto fattore di impatto (impact factor), un indicatore che cattura la numerosità di lettori di una data rivista. L’impact factor non è mai stato utilizzato, in nessun Paese al mondo, per valutare la qualità della ricerca scientifica: si tratta di un indicatore formulato per orientare le scelte di acquisto di riviste da parte delle biblioteche.
L’Agenzia valuta le pubblicazioni in relazione alla sede che le ha ospitate, indipendentemente dal loro contenuto, così che un articolo che nulla aggiunge alle nostre conoscenze, se, per puro caso, è stato pubblicato su riviste di “eccellenza” (ovvero certificate tali dall’Agenzia) riceve una valutazione molto positiva, così come, per contro, un articolo estremamente innovativo pubblicato su riviste che l’Anvur non considera buone riceve una valutazione bassa. È del tutto evidente che questo dispositivo genera attitudini conformiste, dal momento che per pubblicare su riviste considerate prestigiose (e definite di classe A) occorre uniformarsi alla loro linea editoriale, e talvolta – come spesso documentato – anche mettere in atto comportamenti eticamente discutibili.
Vi è di più. L’Anvur ha, a più riprese, riformulato le sue valutazioni; il che costituisce un segnale piuttosto eloquente della natura sperimentale degli esercizi di valutazione che compie, e della sua approssimazione. D’altra parte, l’Agenzia ha scelto curiosamente di non fare riferimento a esperienze consolidate da decenni (come quella britannica), ma di proporre nuove metodologie, con esiti a dir poco confusionari. Può essere sufficiente considerare che gli esiti della Vqr in corso non saranno confrontabili con quella precedente, generando il risultato surreale per il quale non sarà possibile capire se la produttività dei ricercatori italiani, nell’ultimo decennio, è aumentata, diminuita o rimasta costante. (Fonte: G. Forges Davanzati, www.quotidianodipuglia.it 12-04-16)