Home 2016 23 febbraio RICERCA. RICERCATORI ESODO CONTINUO DI RICERCATORI VERSO L’ESTERO. POTREBBERO DIVENTARE 30.000 ENTRO IL 2020
ESODO CONTINUO DI RICERCATORI VERSO L’ESTERO. POTREBBERO DIVENTARE 30.000 ENTRO IL 2020 PDF Stampa E-mail

Per l'Apri (Associazione precari della ricerca italiani) i ricercatori italiani che prestano la loro preziosissima opera all'estero sono 12.000. Il dato ha una fonte autorevole: Maria Carolina Brandi, ricercatrice dell’Irpps-Cnr - l'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche - audita il 16 maggio 2012 dal Comitato per le questioni degli italiani all'estero del Senato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle Politiche relative ai cittadini italiani residenti all'estero. Spingendosi a quantificare il fenomeno: "Alcune stime - spiegava la Brandi - indicano che, se si manterranno i flussi attuali, l'Italia perderà 12.000 ricercatori laureati entro il 2015 e ben 30.000 entro il 2020, mentre alla stessa data entreranno poche migliaia di ricercatori laureati stranieri". "Il flusso di ricercatori che ogni anno abbandona il nostro Paese per tentare fortuna all'estero supera le 3.000 unità", dice Silvio Labbate, uno dei rappresentati di Apri. Il perché di questa fuga oltre i nostri confini e in ogni angolo del mondo è semplice. Labbate critica i metodi con cui vengono reclutati i ricercatori in Italia, il meccanismo per il rilascio dell'Abilitazione scientifica nazionale e per la composizione delle commissioni esaminatrici. Anche l'Istat conferma questa fuga. Nel Rapporto annuale 2015 gli esperti dell'Istituto di statistica spiegano che 3.000 dottori di ricerca (pari al 12,9 per cento) che hanno conseguito nel 2008 e nel 2010 il titolo in Italia vivono all'estero stabilmente. Per quantificare questa perdita basta moltiplicare il costo sostenuto dalla collettività per formare i ricercatori - attorno a 150.000 euro per tutto il percorso scolastico e universitario - per i 3.000 ricercatori che ogni anno si recano all'estero: qualcosa come mezzo miliardo di euro di "capitale umano" già formato che ogni anno sfruttano i Paesi esteri. Cinque miliardi in un decennio. (Fonte: S. Intravaia, La Repubblica 15-02-16)