Home 2015 8 luglio RICERCA. RICERCATORI. VALUTAZIONE DELLA RICERCA LA CONTRADDIZIONE DI DESTINARE PARTE INGENTE DELLE ESILI RISORSE STATALI PER "CONTROLLARE" LA RICERCA, MENTRE IL "FARLA" È ALLO STREMO
LA CONTRADDIZIONE DI DESTINARE PARTE INGENTE DELLE ESILI RISORSE STATALI PER "CONTROLLARE" LA RICERCA, MENTRE IL "FARLA" È ALLO STREMO PDF Stampa E-mail

La comunità scientifica dovrebbe restituirsi almeno la capacità di opporsi a quella che mi sembra la più cruenta delle contraddizioni alimentate dalla pur legittima volontà di accertare la qualità scientifica delle università italiane: l'aver impegnato una quota considerevole delle più che mai esili risorse che lo Stato riesce oggi a destinare alla ricerca per «controllare» la ricerca, mentre il «farla» è ormai ridotto allo stremo, specialmente nel settore umanistico. Posso confortare personalmente questa affermazione: sto per ricevere un rimborso per aver «valutato» la ricerca di alcuni colleghi, ma sono ormai anni che non ricevo rimborsi né per la partecipazione a congressi né per aver prodotto ricerca frequentando biblioteche, essendosi di fatto estinte tutte le possibilità di accesso ai fondi di ricerca per chi coltiva ricerche non toccate dal demone del mercato.
A livello locale la tendenza a disperdere le poche risorse a disposizione degli atenei assume poi connotazioni ancor più aberranti. In nome degli accorpamenti delle antiche facoltà nei nuovi dipartimenti, molte università stanno infatti destinando ingenti risorse a faraoniche ristrutturazioni degli spazi interni all'insegna         dell'antico principio del cuius regio eius et religio. Quelle stesse università non distribuiscono da tempo un centesimo per finanziare quelle ricerche «di base» che mai otterranno un finanziamento statale e tantomeno privato, e che sono da sempre il volano della crescita delle conoscenze. Oltre al danno economico, questa realtà genera frustrazioni e demotivazioni: sentimenti che confliggono con la pur indomita volontà che ancora alberga in molti di noi di concorrere ad accrescere la cosiddetta «competitività» dell'università di appartenenza, cioè a compiere nel migliore dei modi il nostro dovere, senza che ci venga minacciata alcuna pagella. (Fonte: A. Iurilli, Gazzetta del Mezzogiorno 11-06-14)