Home 2015 18 maggio IN EVIDENZA RIFORMA UNIVERSITARIA IN ARRIVO. IPOTESI SUI TEMI CARDINE
RIFORMA UNIVERSITARIA IN ARRIVO. IPOTESI SUI TEMI CARDINE PDF Stampa E-mail

Ad oggi non vi sono documenti ufficiali, ma intenzioni e linee guida emergono sotto forma di dichiarazioni e interviste. A cominciare dal premier, che ha affermato che il 2015 sarà “anno costituente” per gli atenei. Cosa significa? Secondo le interpretazioni più accreditate, a breve dovrebbe essere pubblicato un dossier sulle priorità del governo per l’università. Alla presentazione del testo dovrebbe seguire una fase di ampia consultazione, anche online, tra tutti i soggetti interessati: il processo dovrebbe condurre, dopo l’estate, alla redazione di un disegno di legge.
Ma quali saranno i temi cardine del progetto di riforma dell’università? Per ora si possono avanzare delle ipotesi che si basano su ciò che premier, ministro e altri esponenti politici di primo piano hanno dichiarato. Il disegno si basa sulla concessione agli atenei di un’autonomia fortemente rafforzata, che passerebbe attraverso la progressiva esenzione del mondo accademico dalle norme che governano la pubblica amministrazione. A Bologna Renzi ha affermato che non è accettabile che un ateneo soggiaccia “alle stesse regole di un piccolo Comune”, o che sia il Tar “a decidere sull’accesso ai corsi di laurea”. Gli ha fatto eco il sottosegretario Faraone, che ha sintetizzato così il rapporto ideale tra atenei e vincoli legislativi: “Alla politica spetta stabilire gli obiettivi, stanziare le risorse e valutare i risultati. Poi basta”. Lo stesso ministro Giannini ha detto che “obiettivo del governo”, sia pure a lungo termine, è scorporare il lavoro nelle università dai vincoli del pubblico impiego. Come questo si tradurrebbe per i docenti strutturati, ai quali non si applicano i contratti collettivi, è da scoprire. Ma il primo pensiero del ministro va, per sua ammissione, a tutto il precariato che coopera a didattica e ricerca: dai docenti a contratto, esplosi di numero negli ultimi anni, a borsisti, assegnisti, collaboratori. L’idea non certo dissimulata è quella di unificare tutte le forme di lavoro temporaneo di didattica e ricerca negli atenei in una sola tipologia contrattuale, che dovrebbe legare la flessibilità a maggiori garanzie. Il problema sarà capire quali saranno i confini di questa azione, e se si estenderà anche alle due nuove figure di ricercatori a tempo determinato (di tipo A e B) previste dalla legge Gelmini. Si è ipotizzato (da ultimo nelle parole della senatrice Puglisi) di “semplificare il percorso per arrivare in cattedra con un contratto a tutele crescenti”, che preveda “step di valutazione”: sarebbe auspicabile, invece, una tipologia ad hoc, che tenga conto delle peculiarità del lavoro universitario e della necessità di individuare parametri di presenza, produttività e risultati conciliabili con l’autonomia necessaria. Ma la bozza della Buona Università, oltre a prospettare l’introduzione di una versione accademica del Jobs Act, pone un tetto invalicabile per la contribuzione studentesca. Gli atenei non potranno più fare cassa sulle tasse universitarie che nell’ultimo decennio sono cresciute in media del 63 per cento. Vista la situazione economica di molte università, che solo grazie all’incremento delle tasse sono riuscite a mandare avanti la didattica e la ricerca, se non si procedesse a un ampliamento del Fondo di finanziamento ordinario (FFO), la possibilità di assumere rimarrebbe solo teorica. (Fonte: M. Periti, IlBo 13-04-2015; FQ 22-04-2015)