Home 2012 31 Dicembre UNIVERSITÀ PERDUTA. C’ERA UNA VOLTA …
UNIVERSITÀ PERDUTA. C’ERA UNA VOLTA … PDF Stampa E-mail

Tanti anni fa mi iscrissi a Lettere. Fu un’avventura emozionante: si andava a lezione, per ascoltare i maestri, con la devozione di un comunicando. C’erano anche allora, certo, come oggi, docenti inadeguati o pigri o tromboni. E c’erano i privilegi baronali contro cui il Sessantotto giustamente si scatenò, ottenendo però solo di sostituire una generazione di baroni con i baronetti della successiva. Ma la cultura, le discipline, il pensiero, i classici erano come circonfusi di un’aura sacrale, la stessa che quattro secoli prima induceva Machiavelli a indossare abiti curiali prima di metter mano e prestare orecchio ai grandi del passato. E i professori meritavano comunque un rispetto che era frutto di gratitudine e di disponibilità all’ascolto: tutti, pure i professori di liceo, anch’essi a quel tempo protagonisti della vita pubblica e della cultura cittadina. Con lo stesso entusiasmo aspiravo alla mitica carriera universitaria e, un anno dopo la laurea, la intrapresi. Si trattava di scegliere un mestiere che consisteva nel dedicarsi con altrettanta passione all’insegnamento e alla ricerca, a coinvolgere aule gremite tentando di trasmettere non solo nozioni e metodi ma valori (quelle astrazioni con la maiuscola come verità bellezza libertà giustizia cui mi ostino nonostante tutto a credere) e a coltivare nello stesso tempo l’etica della ricerca, quella curiosità conoscitiva e quel pungolo intellettuale che il rigore, lo scrupolo, la dedizione consolidano, affinano, offrono in forma di documentate analisi e originali contributi alla comunità degli studiosi.
L’apprendistato di noi giovani assistenti godeva inoltre di un’altra preziosa risorsa: la quotidiana vicinanza o meglio l’amicizia che ci legava e che favoriva lo scambio intellettuale, l’ininterrotta conversazione in cui – tra una facezia e un ragguaglio – fermentavano idee. Anni felici, anni perduti. Non ci accorgevamo, mentre discutevamo di Bergman o di Berlinguer, di Boiardo o di Baggio, che l’edificio intorno a noi stava lentamente franando, sì che quando saremmo diventati a nostra volta docenti ci saremmo trovati con stupore in un altro edificio, tanto diverso e lontano da quello in cui ci illudevamo di abitare. In questa università di oggi che – in un paese che non investe nell’istruzione perché non crede nel futuro e perciò non ha futuro – ha sbarrato le porte a due o tre generazioni di giovani brillanti e meritevoli, tutti esclusi per mancanza di reclutamento. E così il cuore e il senso dell’Accademia, ossia la trasmissione di saperi da maestro ad allievo, la “scuola” che intorno a un docente appassionato riunisce collaboratori e discepoli che aspirano ad avvicendarglisi in quella missione, si son persi nel vano balbettio di un reparto geriatrico, in cui combattenti e reduci dai cinquanta ai settanta altercano tra loro.
(Fonte: F. Coniglione, roars.it 15-12-2012)