Home 2012 18 Novembre RICERCA. I DATI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA INDUSTRIALE
RICERCA. I DATI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA INDUSTRIALE PDF Stampa E-mail

Secondo i dati dell'AIRI (Associazione italiana per la ricerca industriale) la spesa «intra-muros» (cioè quelle interna) in Ricerca e sviluppo delle imprese italiane è costantemente cresciuta, seppur lievemente: è passata dai 9.455 milioni di euro nel 2007, ai 10.173 nel 2008 per arrivare ai 10.465 nel 2010. Certo la particolarità del tessuto imprenditoriale italiano è che i grandi gruppi che fanno ricerca a livello internazionale e investono una percentuale del fatturato simile alla media dei paesi europei, sono pochi. La maggior parte del comparto industriale invece è composta di piccole e medie imprese che, a causa delle dimensioni ridotte, non hanno né i fondi né la struttura per garantirsi la ricerca fatta in casa. Ma che di innovazione hanno bisogno. E infatti non è un caso che queste stesse imprese abbiano continuato comunque ad assumere personale addetto al settore. Secondo AIRI i soggetti addetti alla R&S nel 2007 erano in totale poco più di 80 mila tra ricercatori e addetti, sono cresciuti a 93.760 l'anno dopo per salire poi a quota 109.768 nel 2009. Ma non solo perché guardando i numeri degli addetti in un complesso più ampio, tra istituzioni pubbliche, università, istituzioni private non profit e imprese, rileva l'AIRI, il numero è cresciuto dal 2006 al 2009 di quasi 35 mila soggetti di cui circa un terzo solo ricercatori. Ma quali sono i settori di sviluppo per la ricerca industriale capaci anche di creare occupazione? Secondo il rapporto «Tecnologie prioritarie per l'industria», elaborato con la collaborazione di più di 100 ricercatori e manager della ricerca industriale, coadiuvati da ricercatori di enti pubblici, sono 105 le tecnologie del prossimo futuro. Tra queste ci sono quelle informatiche e quelle della microelettronica, energia, chimica, farmaceutica e biotecnologie, ambiente, trasporti., aeronautica, spazio, materiali. Se l'Italia, sostiene l'Associazione italiana per la ricerca industriale, si concentrasse per circa 5 anni nelle aree industriali in cui è più forte, per esempio nel vasto settore del Made in Italy, potrebbe essere ancora un Paese competitivo. Lo sforzo della ricerca industriale, che richiede mediamente 3-5 anni per il successo sul mercato, presenta un elevato rischio imprenditoriale che potrà essere sostenuto, però, anche con un impegno pubblico a livello regionale, nazionale e comunitario, perché gli obiettivi sono tali che richiedono una partecipazione collettiva. E poi ancora c'è un problema di offerta di figure professionali: alle aziende, infatti, non basta il semplice ricercatore, ma gli serve il ricercatore-innovatore, una figura che sia esperta nello scouting tecnologico, in grado perciò di scovare tutte le tecnologie che interessano l'imprenditore per cui lavora.
(Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi Sette 29-10-2012)