Home 2012 12 Settembre CLASSIFICAZIONE ARWU. PERCHÉ NESSUN ATENEO ITALIANO È FRA I PRIMI CENTO
CLASSIFICAZIONE ARWU. PERCHÉ NESSUN ATENEO ITALIANO È FRA I PRIMI CENTO PDF Stampa E-mail

L'Arwu (Academic Ranking of World Universities) 2012 ha valutato circa 5.000 università in tutto il mondo, ed essere fra il 1000 e il 150° posto significa essere nel 3% delle università migliori al mondo», fa notare il prorettore della Sapienza Giancarlo Ruocco, «il risultato è di tutto rispetto». Allora perché gli atenei italiani ancora non riescono a entrare nel gruppo dorato dei primi cento, occupato per lo più da inglesi e americani? «Quello che ci manca è la capacità di organizzare il reperimento di fondi progettuali — spiega ancora Ruocco. Soprattutto le università generaliste, non riescono a creare dei progetti validi che attirino risorse economiche e che ci permettano di crescere, anche a livello internazionale. E, infatti, uno dei compiti che ci siamo dati — conclude Ruocco — è quello di creare esperti del settore, professionalità specifiche in grado di mettere a punto i progetti di ricerca».
In effetti, la classifica Arwu dà grande importanza alla qualità delle performance, sia accademiche sia di ricerca, considerando elementi come il numero di riconoscimenti internazionali ottenuti dallo staff accademico, il numero delle pubblicazioni e delle citazioni, i risultati conseguiti in relazione alle dimensioni dell'istituzione. Rischia di non essere obiettiva, come ipotizza la ministra francese all'Istruzione Geneviève Fioraso, secondo cui l'Arwu «non tiene conto della qualità dell'insegnamento e ignora in gran parte le scienze umane e sociali»? «Tutte le classifiche sono parziali, indicative, perché fanno riferimento solo ad alcuni indicatori — risponde il presidente della CRUI Enrico Decleva —. E comunque in Italia o si assume un atteggiamento più responsabile, e cioè ci si rende conto che bisogna investire in alta formazione, oppure le università nostrane non potranno mai essere ai primi posti della classifica». «Non a caso i primi sono sempre gli inglesi e gli americani — incalza il rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone —. In quei Paesi ci sono alcuni poli universitari che attraggono la maggior parte delle risorse e che così diventano eccellenza in settori specifici. In Italia questo non succede, è tutto molto frammentato». Come se ne esce? «Imitando il modello francese e tedesco — spiega Azzone —, dove si hanno molti centri di qualità, ma si punta sull'eccellenza di alcuni». E la strada intrapresa dall'Università di Pisa, che non a caso nella classifica Arwu ha ottenuto un risultato lusinghiero anche per quanto riguarda i macro-settori: in Scienze naturali ha confermato la leadership, essendo l'unica italiana presente tra le prime 100 al mondo. Ma numeri in classifica e graduatorie hanno davvero un senso per chi studia? «Assolutamente sì — conclude Azzone —. Sono passati da due a quattro milioni i ragazzi che ogni anno scelgono di frequentare l'università all'estero nei Paesi dell'area Ocse. Dobbiamo avere visibilità internazionale se vogliamo essere competitivi e attrarre cervelli. O non far fuggire i nostri».
(Fonte: V. Santarpia, Corsera 18-08-2012)