Home 2012 12 Settembre RICERCA. NELLA VERA STORIA DELL’AUTONOMIA UNIVERSITARIA L’OCCASIONE PERSA PER UNIFICARE IL SISTEMA UNIVERSITARIO E DI RICERCA
RICERCA. NELLA VERA STORIA DELL’AUTONOMIA UNIVERSITARIA L’OCCASIONE PERSA PER UNIFICARE IL SISTEMA UNIVERSITARIO E DI RICERCA PDF Stampa E-mail

Ad Antonio Ruberti, Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica dal 1989 al 1992, si attribuisce la paternità della cosiddetta “autonomia universitaria”. Ciò è, in parte, fondato sul fatto che la Legge 168 del 1989, che istituì il nuovo Ministero dell’Università e della Ricerca, concesse anche ampia autonomia didattica e statutaria alle sedi universitarie. L’iniziativa di questa legge è attribuita a Ruberti. Ma la vera storia dell’autonomia universitaria è un’altra. Antonio Ruberti fu costretto a subire la legge 168 e non fece in tempo a correggerla come avrebbe desiderato. Il suo concetto preferito non era “autonomia”, ma “governo del sistema”. Alessandro Figà Talamanca nell’articolo “La vera storia dell’autonomia universitaria“ cerca di raccontare la storia correttamente.
Il programma del Governo dell’epoca (1987) prevedeva l’istituzione di un Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica. Antonio Ruberti fu indicato come il futuro titolare del nuovo dicastero. Ma l’idea di affidare università e ricerca a un socialista non doveva essere stata accettata pienamente dalla Democrazia Cristiana. Fu subito chiaro, infatti, che il progetto di un unico Ministero per Università e Ricerca avrebbe comportato una perdita di “autonomia” da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che era allora, e da molti anni, un feudo democristiano. Anche i sindacati della ricerca, in particolare la CGIL-ricerca, abituati a contrattare per un “comparto”, che comprendeva tutti gli “addetti” alla ricerca, dagli uscieri ai direttori di ricerca, non potevano vedere di buon occhio un progetto che rischiava di portare a una sostanziale unificazione dello stato giuridico dei ricercatori del CNR (e di altri enti pubblici di ricerca) con quello dei docenti universitari. Per questi ultimi, infatti, non era (e non è) previsto un contratto negoziato dai sindacati. D’altra parte Ruberti aveva subito identificato nel problema dello stato giuridico il nodo cruciale per un’efficace unificazione delle competenze per l’università e per la ricerca in un unico Ministero. Il Governo approvò alla fine di agosto un disegno di legge che, assieme alla norma istitutiva del Ministero, conteneva anche norme (in realtà piuttosto vaghe) che garantivano l’autonomia universitaria e degli enti di ricerca. Il disegno di legge istitutivo del nuovo ministero iniziò allora un lungo iter legislativo, che si concluse solo nella primavera del 1989. Col passare del tempo il ddl si trasformò in un testo confuso e contraddittorio che comprendeva pochissime norme di immediata applicazione. Quasi tutte le nuove disposizioni sull’autonomia sarebbero entrate in vigore in ritardo. Ruberti, ansioso di prendere possesso del suo Ministero, accettò queste contraddittorie disposizioni. Probabilmente, riteneva di riuscire a modificarle con riforme più organiche, e forse più restrittive. Per accelerare l’iter del provvedimento Ruberti si vide costretto ad accettare un emendamento alla legge istitutiva, che aveva il solo scopo di far fallire il suo progetto. L’emendamento, presentato dall’on. Silvano Labriola, Presidene della Commissione Affari Costituzionali, eletto nelle liste del Partito Socialista, sembrava estraneo alla materia del disegno di legge, ma in realtà centrava il cuore del progetto Ruberti. Si stabiliva, infatti, che lo stato giuridico del personale dipendente degli enti di ricerca fosse regolato dai contratti stipulati con le organizzazioni sindacali. Si rendeva così impossibile l’unificazione dello stato giuridico dei ricercatori con quello dei docenti universitari. La separazione, sulla base di diversi interessi “contrattuali” di comunità scientifiche con gli stessi interessi di ricerca, rafforzava il potere dei sindacati e delle clientele politiche, con buona pace della vera “autonomia” della scienza e della ricerca. Le altre disposizioni, più o meno contraddittorie, della nuova legge che assunse la denominazione di Legge 9 maggio 1989, n.168, potevano essere, e furono in parte, superate da nuove norme promosse da Ruberti, ma l’emendamento Labriola che si concretò nel primo comma dell’art. 9 della legge, determinò un passaggio irreversibile. Rese inevitabile il progressivo distacco degli enti di ricerca dall’università, un distacco destinato a dar luogo all’inutile duplicazione di molte iniziative scientifiche. Dobbiamo riflettere sull’occasione persa, allora, per unificare il sistema universitario e di ricerca, consentendone un “governo” responsabile da parte del Ministro, rispettoso dell’autonomia di comunità scientifiche non artificiosamente separate. Da buon esperto di teoria dei sistemi Ruberti vedeva le singole università inserite in un sistema interdipendente. Gli era probabilmente estranea l’idea di una autonomia atomizzata, esercitata dalle singole sedi universitarie e non da comunità scientifiche nazionali.
(Fonte: A. Figà Talamanca, roars 20-08-2012)