Home 2012 23 Agosto RICERCATORI UNIVERSITARI. LE FONTI DEL RAPPORTO DI LAVORO
RICERCATORI UNIVERSITARI. LE FONTI DEL RAPPORTO DI LAVORO PDF Stampa E-mail

I ricercatori universitari, a differenza di quelli dipendenti dagli enti di ricerca, non hanno subìto il processo di privatizzazione degli ultimi decenni: la categoria dei ricercatori dell’Università, assieme a quella dei professori universitari, sono state escluse dalla riforma. L’art. 3, comma 1° del testo unico n. 165/2001 afferma che “in deroga all’art. 2, commi 2 e 3”, dove si stabilisce la privatizzazione e la contrattualizzazione del pubblico impiego, “rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle forze di polizia, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia”. Al 2° comma si afferma che “il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi dell’autonomia universitaria di cui all’art. 33 della Costituzione”. Da ciò si deduce che il rapporto di lavoro dei ricercatori universitari per ora non subisce la privatizzazione, poiché al 2° comma si stabilisce che rimane regolato dalle disposizioni già vigenti, ossia dalla legge. Il 2° comma trova la sua spiegazione nel fatto che fin dalla prima privatizzazione si era ritenuto necessario “coordinare la riforma con una serie di provvedimenti in itinere in tema di autonomia universitaria”. Inizialmente, infatti, il DLgs. n. 29/1993 aveva ritenuto di dover estendere la privatizzazione anche ai ricercatori e ai professori universitari a partire dal 1° giugno 1994; successivamente però con il DLgs. 546/1993 si decise di prorogare la loro esclusione dall’ambito della riforma, in attesa di una regolamentazione che potesse disciplinare il loro rapporto, proprio perché si continuava a discutere in Parlamento sul tema dell’autonomia dell’Università senza raggiungere mai un accordo. In realtà la legge delega n. 421/1992 non aveva contemplato tra le categorie escluse dalla riforma i professori e i ricercatori universitari, poiché l’art. 2, comma 1° di detta legge affermava che dovessero rimanere regolati dalla precedente disciplina i dirigenti generali ed equiparati, senza nulla specificare con riguardo al personale universitario. L’esclusione dei ricercatori universitari dall’ambito della riforma sembrava dovesse avere durata limitata, ma nel testo unico del 2001 all’art. 3, comma 2° venne riproposta, considerandola come una sorta di proroga sine die. Ancora oggi la disciplina del rapporto dei ricercatori universitari è in attesa di una specifica regolamentazione, come afferma l’art. 3, non essendo intervenuta a riguardo alcuna legge. Si può quindi affermare che il rapporto dei ricercatori universitari, non avendo beneficiato della privatizzazione del pubblico impiego, è regolato dalla disciplina precedente alla riforma e dalle leggi che riguardano l’Università, come soprattutto il D. P. R. n. 382/1980, il quale si preoccupa di disciplinare le caratteristiche principali del rapporto e l’art. 24 della legge n. 448/1998 per quanto riguarda gli aspetti retributivi. Il rapporto di lavoro dei ricercatori universitari ha come fonte ordinaria la legge, o comunque una fonte unilaterale (regolamento); alla legge si affianca poi l’atto amministrativo di nomina che non è altro che un provvedimento unilaterale emanato dalla p.a. Per la categoria dei ricercatori universitari quindi vale ancora il principio della supremazia della p.a. rispetto ai dipendenti, poiché, non solo al momento della costituzione del rapporto ma anche successivamente, il datore di lavoro esercita sul lavoratore un potere autoritativo mediante atti amministrativi.
(Fonte: E. Pisani, tesionline.it luglio 2012)