Home 2012 12 Giugno RIFLESSIONI SUL RECLUTAMENTO DEI DOCENTI UNIVERSITARI
RIFLESSIONI SUL RECLUTAMENTO DEI DOCENTI UNIVERSITARI PDF Stampa E-mail

Negli anni precedenti la massificazione degli studi universitari e il necessario aumento degli organici un po’ ovunque nel mondo occidentale le ammissioni ai ruoli erano il frutto della scelta di un piccolo numero di specialisti, che si conoscevano più o meno tutti personalmente, quindi un sistema di reclutamento valeva l’altro, e si risolveva in una cooptazione per lo più accettata. Però, a differenza di altri modelli (che pure hanno i loro problemi, non crediamo sempre che all’estero sia il paradiso) quello italiano non si è adattato ai profondi mutamenti nel ruolo sociale dell’università avvenuti negli ultimi 40-50 anni. In sostanza, i (poco) diversi sistemi di reclutamento che si sono succeduti nelle varie riforme e riformine dell’ultima trentina d’anni hanno mantenuto intatto un equilibrio che i docenti universitari hanno gelosamente custodito chiudendosi a riccio verso qualunque tentativo di modifica: dal punto di vista funzionale, il sistema dei concorsi garantisce il massimo di discrezionalità ai docenti, con il minimo di responsabilità delle scelte. Da un lato con un concorso a un posto si potrà scegliere chiunque, inventando i criteri giusti ex post; dall’altro, se i propri dipendenti lavorano male il dipartimento non ha alcuna responsabilità nella propria scarsa qualità, visto che non ha direttamente assunto nessuno. La ragione per cui si riesce a mantenere un equilibrio così favorevole verso la corporazione universitaria è la stessa per cui in Italia gli ordini professionali, nati per controllare la qualità dei loro aderenti e quindi per rendere la loro vita lavorativa più difficile, diventano inevitabilmente strumenti di protezione degli iscritti rispetto a chi non lo è e di promozione familiare al loro interno: lo stato italiano, pur costruito nel corso del tempo su un modello accentratore e “interventista” in tutti i campi, è sostanzialmente debole, e non riesce a imporre alle corporazioni e ai gruppi di potere la propria autorità. Peggio, per sopravvivere elemosina il loro consenso divenendo il luogo di espressione della loro volontà e di tutela dei loro interessi.
In conclusione, dal punto di vista strettamente interno agli ordinamenti universitari si deve agire imponendo un nuovo ordinamento per il reclutamento, o minimizzando la discrezionalità dei selezionatori (in una parola, col modello dei “concorsoni” per coorti annuali alla francese), o massimizzando la responsabilità dei dipartimenti, cui sarebbe lasciata più o meno mano libera per le assunzioni ma che poi dovranno rendere conto della loro efficienza al momento di chiedere i soldi per sopravvivere, e chiudere se non saranno sufficientemente affidabili per l’investimento (in breve, con il modello inglese, per restare nell'ambito di un sistema in cui il ruolo dello stato nell'istruzione superiore resta centrale). Entrambi i sistemi, come dicevo, hanno comunque dei difetti. Il primo è molto macchinoso e spesso troppo rigido nei criteri di scelta, perché si propone di individuare nei candidati in forma quasi assoluta un "merito" di cui non esiste alcuna giustificazione teorica. Il secondo è sempre esposto al rischio di nuove derive dirigiste per la tendenza a stabilire per decreto graduatorie e classifiche di qualità che scarichino sul "sistema" le responsabilità delle scelte dei dipartimenti peggiori, oltre che difficile da applicare in un paese dove buona parte del mercato del lavoro intellettuale o amministrativo è iperprotetto e quindi inaccessibile come ripiego a chi fallisce la carriera accademica. Però l’emersione di questi difetti non dovrà essere ragione sufficiente per una restaurazione dell’antico, come quelle cui periodicamente guarda chi non è soddisfatto dell’università di oggi, senza pensare che se oggi le cose vanno male è proprio perché la nostra università è ancora quella di ieri.
(Fonte: A. Mariuzzo, linkiesta.it 20-03-2012)