Home 2012 29 Maggio RICERCA. PRIVATIZZATA SU RIVISTE AD ACCESSO CHIUSO
RICERCA. PRIVATIZZATA SU RIVISTE AD ACCESSO CHIUSO PDF Stampa E-mail

Nella seconda metà del secolo scorso, il marketing dell’Institute for Scientific Information (ora Thomson-Reuters Web of Science) fece credere che la presenza di una rivista nel suo catalogo fosse un marchio di “scientificità” e che un indice bibliometrico detto fattore d’impatto, calcolato sul suo database di citazioni parziale e privato, fosse sufficiente per stabilirne il valore. Così riviste lette in realtà da pochissimi specialisti diventarono opere cui nessuna biblioteca universitaria poteva rinunciare. Questo le rese molto attraenti per le multinazionali dell’editoria scientifica che, dopo averle acquistate e concentrate in poche mani, alzarono i loro prezzi senza controllo, spuntando margini di profitto fuori di ogni proporzione. Il fenomeno, noto come crisi dei prezzi dei periodici, è ormai molto conosciuto e studiato: il testo di J.-C. Guédon, che lo spiega in modo approfondito, tradotto in italiano nel 2004, è liberamente disponibile on-line; e altrettanto facilmente è reperibile la conferenza tenuta da Lawrence Lessig al Cern nell’aprile 2011, che lo denuncia con chiarezza. Quello che merita una riflessione, pratica prima che teorica, sono le sue parole conclusive, dedicate di nuovo al mondo dell’accademia: “Si deve riconoscere l’accesso universale alla conoscenza come un’obbligazione morale. Qui per accesso non s’intende una mera accessibilità fisica, bensì la libertà delle licenze, così da rendere rielaborabile e riutilizzabile ogni prodotto della ricerca. La scienza non vive di conformismo e di esclusivismo, ma di innovazione non prevista, non progettata e in controtendenza. Dovremmo avere il coraggio di dire che quanti praticano o accettano la pubblicazione ad accesso chiuso si comportano ingiustamente e sono incoerenti con l’etica del lavoro scientifico. E gli accademici in posizione di potere, che valutano la ricerca e decidono le carriere altrui, dovrebbero semplicemente smettere di considerare come titoli gli articoli privatizzati su riviste ad accesso chiuso, per quanto prestigiose.”
(Fonte: M. C. Pievatolo 11-05-2012)