Home 2012 12 Maggio DIFFICOLTÀ PER L’AGENDA DIGITALE EUROPEA DA UNA RICERCA DELLA FONDAZIONE BORDONI-COTEC
DIFFICOLTÀ PER L’AGENDA DIGITALE EUROPEA DA UNA RICERCA DELLA FONDAZIONE BORDONI-COTEC PDF Stampa E-mail

«Non illudiamoci, se non investiamo in ricerca l'obiettivo dell'Agenda digitale resterà un sogno». Le parole di Alessandro Luciano, presidente della Fondazione Ugo Bordoni, non lasciano spazio a dubbi e sono il frutto dei risultati di un'indagine condotta assieme a Cotec sull'innovazione tecnologica dal titolo «Il ruolo del capitale umano nel settore dell'Ict», visto il peso sempre più decisivo che assume il campo dell'Information and Communication Technology (Ict) per la ripresa e lo sviluppo. Le sorprese e le contraddizioni non mancano. Intanto il numero di ingegneri. Le università ne sfornano un numero che supera ampiamente la domanda; anzi il loro tasso di disoccupazione che era dell'1% due anni fa, adesso è triplicato (2,9%). Ma una volta entrati in fabbrica il guaio è che solo la metà svolge un lavoro connesso alla preparazione. Un altro aspetto riguarda l'utilizzo dell'Ict. Qui emerge un dato negativo importante: la carenza di abilità, l'incapacità manageriale di utilizzare al meglio le tecnologie dell'It e i servizi di telecomunicazioni in relazione alle proprie aree di business. Di contro, quelle che le hanno assorbite, anche in settori tradizionali tipici del made in Italy, dal tessile all'agroalimentare, sono state in grado di resistere agli attacchi della globalizzazione. Ciò dimostra che il modello italiano di fare impresa, anche nella dimensione artigiana, se integrato con le nuove tecnologie, è ancora valido. L'indagine mette in risalto la mancanza di manodopera specializzata sia nelle professioni artigianali sia nell'Ict, dove c'è carenza di informatici, ingegneri, esperti di marketing e internazionalizzazione. Esiste insomma un problema di formazione e di competenze.
E qui si punta il dito sul sistema complessivo della ricerca per cui risulta che «buona parte dei ricercatori è impegnata in realtà che hanno poco a che vedere con il sistema produttivo; di conseguenza le imprese non sanno (e quasi certamente non possono) utilizzarne i risultati. In più la ricerca italiana pubblica e privata risulta assai frammentata. Di qui un possibile spazio per interventi tesi ad avvicinare due mondi che sembrano parlare due diversi linguaggi».
(Fonte: G. Caprara, Corriere Economia 07-05-2012)