Home 2012 20 Febbraio RICERCA SCIENTIFICA. NON PRODUCE VERA CONCORRENZA IL SISTEMA DELLE CITAZIONI
RICERCA SCIENTIFICA. NON PRODUCE VERA CONCORRENZA IL SISTEMA DELLE CITAZIONI PDF Stampa E-mail
Francesco Magris, economista ordinario all'Università di Tours, ha appena pubblicato un libro “La concorrenza nella ricerca scientifica”, edito da Bompiani, (pagine 92), nel quale auspica una buona dose di concorrenza tra docenti e ricercatori nell'università, tanto nelle facoltà scientifiche che in quelle umanistiche. Oltre a critiche abbastanza convenzionali sugli atenei italiani, buona parte dell'analisi e della critica del libro si focalizzano sul sistema delle «citazioni», di gran lunga prevalente nel circuito accademico internazionale, non solo nel caso degli scienziati e degli economisti, ma in generale come metodo di valutazione e premio nell'intero universo della produzione delle idee e delle scoperte. La citazione è diventata, secondo Magris, una sorta di valuta, anzi il dollaro attraverso il quale si stabiliscono gerarchie e, alla fine, imperi accademici. Francesco Magris dubita che questo delle citazioni sia il modo migliore per introdurre una forma di mercato e di concorrenza efficienti nel settore. Da una parte, esso è un incentivo a premiare i lavori di più immediata fruizione, quelli che hanno più mercato nelle riviste scientifiche. A scapito di ricerche e studi più profondi e di maggiore portata. La necessità di accumulare citazioni, inoltre, penalizza chi svolge lavori complessi che richiedono tempi lunghi prima di potere essere pubblicati. Il tutto all'interno di «un modello autoreferenziale di selezione» nel quale spesso riviste «amiche» si scambiano citazioni e nel quale, soprattutto, non c'è distinzione tra chi produce ricerca e chi la consuma, nel quale chi giudica è quasi sempre collega di chi ha prodotto la ricerca: «Fondere le due categorie in una sola, scrive Magris, conduce alla negazione del sistema di mercato». Dall'altra parte, per ragioni storiche ed economiche, questo sistema di valutazioni internazionali è dominato dalle riviste anglosassoni, le quali sono molto spesso collegate alle università americane (e in una certa misura anche a quelle britanniche), nonché ai loro docenti e anche alle lobby che le finanziano. Una situazione che, «anziché promuovere la differenziazione del prodotto, conduce al consolidamento del pensiero dominante e all'indebolimento del pluralismo»: dunque scuole di pensiero decentrate e minoritarie hanno, in questa cornice, meno possibilità di emergere. Ma se si vogliono il mercato e la concorrenza, dice in sostanza, occorre che il sistema sia davvero aperto ed efficiente.
(Fonte: D. Taino, Corsera 11-02-2012)