Home 2011 27 Dicembre MAESTRI E ALLIEVI. RICERCATORI. BUROCRATIZZAZIONE. VALUTAZIONE
MAESTRI E ALLIEVI. RICERCATORI. BUROCRATIZZAZIONE. VALUTAZIONE PDF Stampa E-mail
L'istituzione universitaria deve ritrovare la propria arché nella relazione maestro-allievo. Tra i rapporti interumani è forse il più misterioso perché fondato su una sottile dialettica tra fedeltà e tradimento. Il maestro coinvolge nelle sua ricerca l'allievo e gli consegna un'eredità di metodi e di saperi, ma poi a un certo punto l'allievo va oltre quel lascito e cerca nuove strade. Da qui scaturisce la crescita della conoscenza. Aver indebolito questo processo chiudendo le porte ad un'intera generazione di giovani ricercatori è la causa principale della crisi. Diversi campi del sapere rischiano la sterilità perché ormai da troppo tempo i maestri non possono coltivare nuove generazioni di studiosi. Per molti di questi il tradimento non è più un atto conoscitivo, ma è diventato una fuga dal paese. La condizione dei ricercatori non è uno dei tanti problemi, ma è la questione centrale da cui ripensare l'avvenire dell'università italiana. Il riformismo di destra e di sinistra dell'ultimo decennio ha dimenticato la natura istituzionale dell'università. Ne sono venute non solo politiche sbagliate ma perfino una cattiva agenda dei problemi. Tutta l'attenzione è stata concentrata sui mezzi è si persa la cura dei fini. Sono state scritte migliaia di norme che hanno messo in sofferenza la ricerca e la didattica senza risolvere alcun problema. Gli atenei sono stati risucchiati nelle angustie ministeriali proprio mentre dovevano aprirsi al mondo globalizzato. Bisogna capovolgere l'agenda delle riforme: basta con le leggi che burocratizzano gli atenei, occorrono politiche per la ricerca, per la formazione e per l'apertura internazionale. La burocrazia accademica è diventato l'apparato più rigido dell'intero Stato italiano. Rimango convinto che la gran parte di queste norme potrebbero essere sostituite da una buona valutazione della ricerca e della didattica. Se ne parla da dieci anni, ma ogni ministro ha preferito fare leggi sulla valutazione piuttosto che praticarla davvero. Arriviamo molto in ritardo rispetto ad altri paesi e rischiamo di sbagliare con l'ingenuità dei neofiti. Non può essere ridotto tutto alla bibliometria, rimane decisiva la peer review. Perfino i fisici, che sanno come la misura possa perturbare significativamente il fenomeno osservato, quando passano a gestire le politiche universitarie dimenticano talvolta il principio di Heisenberg. Nessuna differenza virtuosa è stata prodotta dalle continue riforme del decennio passato, le vere innovazioni sono piante rare cresciute su isolotti non sommersi dall’alluvione normativa. Perfino in Europa, dopo tanta enfasi sulla competizione, le analisi più avvedute registrano una crescente omologazione dei modelli universitari. Le famose classifiche internazionali sono state interpretate male. Certo, non si trova nessun ateneo italiano ai vertici mondiali, ma ottengono piazzamenti dignitosi molti nostri atenei di buon livello. Questi dovrebbero lavorare insieme per poter affrontare l’apertura verso il mondo. Le reti di università dovrebbero essere la specificità italiana da sviluppare, non solo con la competizione, ma anche con la cooperazione a diverse scale: come Paese per migliorare l’attrattività internazionale di studenti, ricercatori e investimenti; a livello regionale per integrare l’offerta ed evitare stupide sovrapposizioni; nel Mezzogiorno per realizzare una piattaforma di conoscenza rivolta all’area mediterranea. La valutazione dovrebbe essere posta al servizio di queste ed altre politiche di cooperazione, per scegliere le risorse migliori da integrare, per approfondire le diverse vocazioni, per differenziare l’offerta della ricerca e della didattica.
(Fonte: V. Tocci, Risposte a sei domande sull’università, www.menodizero.eu 09-12-2011).