Home 2011 1 Novembre Studenti. Troppi rispetto al mercato del lavoro?
Studenti. Troppi rispetto al mercato del lavoro? PDF Stampa E-mail
L’autore di un articolo su ‘il Sole 24 Ore’ sostiene che i laureati in discipline umanistiche sono troppi e mediocri; ciò avviene per la cupidigia delle università che vogliono accaparrarsi iscritti, a causa di studenti purtroppo non formati alla professione dal liceo e non incalzati da necessità economiche (in Italia ci sarebbe un «relativo benessere»!) che rimandano il problema del lavoro studiando. La cura proposta è quella di una bella selezione in entrata, previa riqualificazione delle materie umanistiche liceali, utile, questa, a forgiare «cittadini migliori». Pratiche e serie soluzioni, conclude l'autore, per medicare un'Italia piena di retorica più che di cultura. Riassunto il pezzo, sciolgo le ambiguità che la sua apparente schiettezza nasconde. Per cominciare: gli studenti sono troppi rispetto a cosa? Rispetto al mercato del lavoro, unica unità di misura su cui l'articolo tara la sua università ideale. Obietto: vogliamo studiare per occupare il posto che il mercato ci assegna oppure per apprendere ed elaborare un pensiero libero di modificare l'esistente? Studiare per scoprire, pensare e cambiare la realtà, e ammettere che questa potenzialità sia in tutti fino a contraria prova, è un percorso che comporta qualche sperpero, e che non ci renderà "produttivi" allo scoccare dei ventitré anni? Beh, si tratta di un costo necessario, poiché volere persone già in possesso dei propri interessi a diciotto anni implica una concezione disumana degli individui (irrigiditi in una scelta e in un ruolo sociale dall'adolescenza alla morte) praticata nei modelli statuali - totalitari e ultracapitalistici - in cui il singolo esiste solo in quanto parte di un ordine produttivo e sociale. Negli ultimi vent'anni l'università di massa ha dismesso il proprio fondamento politico di ideale democratico e si è ridotta a un'ipotesi di mercato (lo studente come cliente dell'azienda università). Oggi questa università è riconosciuta fallimentare non rispetto ai propri contenuti culturali ma, appunto, rispetto al mercato che l'ha infeudata; poco produttiva sui grandi numeri, deve richiudersi sul proprio classismo originario e sulla "produzione di qualità": quella delle élites dirigenti. Vogliamo discutere seriamente la natura dell'università e dell'umanesimo attuali? Allora diciamo subito che questi due elementi non sono determinati in alcun modo dal numero degli studenti di lettere, e reimpostiamo la discussione.
(Fonte: S. Gentili, Il Manifesto 26-10-2011)