Discipline umanistiche. Necessità di internazionalizzazione |
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L’italiano è stato, con francese, inglese e tedesco, una delle lingue di cultura europee, e ancora all’inizio del XIX secolo il bacino dei suoi parlanti, dialettofoni inclusi, era per ampiezza il settimo del mondo. Oggi però, tranne che in alcune nicchie, l’italiano come lingua di cultura conta poco, il nostro bacino linguistico è scivolato al 22° posto, e si prevede che scenderà al 40° nei prossimi decenni. Quelle lingue di cultura che dialogavano tra loro, riflettevano inoltre un’Europa delle potenze che dominava il mondo e oggi non esiste più. Un declino più drammatico rispetto all’italiano ha colpito il tedesco, che fino alle guerre mondiali signoreggiava in larghi campi della scienza, e persino il francese, che pure è stato una lingua imperiale e caparbiamente difesa. L’inglese ha invece subito una trasformazione radicale che, dopo aver investito le scienze naturali e mediche, e poi quelle socioeconomiche, sta coinvolgendo le discipline umanistiche. Esso ha smesso cioè di essere solo una lingua nazionale, ed è diventata la lingua di un "sopramondo" del quale fanno parte anche i grandi popoli asiatici, che la hanno scelta come lingua veicolare per le scienze e l’alta cultura. Non abitare questo sopramondo, non avere articoli pubblicati su riviste presenti nelle grandi banche date internazionali — che ormai esistono anche per le discipline umanistiche — e quindi facilmente reperibili e leggibili da un indiano come da uno scandinavo, vuol dire non esistere. E’ questo il rischio che corre la parte migliore, ma non internazionalizzata, della nostra cultura umanistica: ottime ricerche non varcano i confini nazionali e partecipano solo di rado al dibattito internazionale; e troppo spesso i nostri giovani restano imprigionati in un ambito che ha limiti intellettuali angusti, perché ormai è altra la scala necessaria. Si tratta quindi di valorizzare la parte alta della nostra cultura, che specie in alcuni settori è ancora tra le migliori del mondo, ma per valorizzarla occorre individuarla, con la collaborazione delle Società scientifiche nazionali, e aiutarne l’internazionalizzazione. Questa è l’essenza della valutazione che l’ANVUR dovrebbe fare, sulla base della specificità delle discipline umanistiche, ma anche del loro ritardo nell’elaborazione di strumenti validi e condivisi di valutazione. Come ha scritto il suo presidente Fantoni, questa valutazione dovrà essere costruita tenendo sì conto di quelle specificità, ma anche delle esperienze internazionali, senza usare le prime come scusa per restare all’interno di uno stagno solo illusoriamente protetto. Lo Stato italiano, come ha fatto quello francese con Persée (http://www.persee.fr/web/guest/home), dovrebbe impegnarsi a portare in rete tutte le annate delle principali riviste umanistiche italiane. (Fonte: A. Graziosi, federalismi.it n. 19/2011, 05-10-2011)
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