Home 2011 8 Giugno La qualità delle lauree
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Si dice che l’università deve essere più selettiva: una selezione che si basa sul merito; le aziende, da parte loro, devono evitare di piegarsi su se stesse, limitando spese e investimenti.

Il lavoro stabile sembra sempre più un miraggio e gli stipendi tendono a diminuire. Si diventa più competitivi nella scelta del lavoro quando agli studi compiuti si aggiungono altre caratteristiche e competenze: flessibilità culturale, stages all’estero, conoscenze di una o più lingue straniere.

Al presente, secondo uno studio del Consorzio interuniversitario lombardo, diminuisce il numero di coloro che dopo una laurea riescono a trovare un’occupazione e, quel che è peggio, aumenta la fascia di chi un lavoro addirittura rinuncia a trovarlo. Secondo Assolombarda ciò è colpa della crisi, ma le università devono fare uno sforzo in più.

Meno immatricolazioni nelle università statali, in aumento quelle nelle università private. Tasso di disoccupazione tra i laureati che aumenta il precariato e il lavoro nero che pure cresce.

Il nostro Paese, inoltre, non è appetibile per i cervelli stranieri. La laurea breve non funziona come dovrebbe: la formula “3+2” non ha dato i frutti sperati. E’ quanto è emerso, tra l’altro, a conclusione del convegno internazionale degli ingegneri dello scorso mese di Febbraio sul tema “La formazione dell’ingegnere”, presenti esperti europei e statunitensi. E ciò perché la laurea magistrale, con il biennio di specializzazione, deve riprendere nozioni di base e professionali comprese in malo modo nei tre anni precedenti.

Altri rivelano l’elevato tasso di abbandoni che si registra nelle nostre università, nelle quali il numero dei laureati supera di poco il trenta percento degli studenti che si sono iscritti, con uno spreco di risorse che certamente non possiamo permetterci.

Si tratta di una situazione prodotta da “un’illusione di promozione sociale”: parecchi giovani, con le rispettive famiglie, pensano che il “pezzo di carta” li porterà ad accedere a un posto ben remunerato, in ogni caso con remunerazione maggiore rispetto a un mestiere manuale. Seguono poi la disaffezione e la mancanza d’interesse che portano molti di questi studenti ad abbandonare l’università.

Per contro è stato scritto che ciò non accade per gli studenti, peraltro sempre più numerosi, che s’indirizzano verso università non statali. A questi studenti, e alle loro famiglie, le lauree non si riducono a semplici “pezzi di carta”, ma garantiscono una preparazione effettiva, che permette un più agevole inserimento nel lavoro. Nelle università private si manifesta una concezione meritocratica degli studi, che è in forte contrasto con la concezione assistenziale che domina largamente nel Paese.

Il risultato di quanto evidenziato è che la laurea pezzo di carta non da la certezza del posto fisso e, nella maggioranza dei casi, neppure quella a carattere temporaneo, la cui natura, peraltro, non sempre risponde al tipo di laurea in possesso di chi cerca lavoro. In sostanza esiste un disallineamento tra le competenze richieste dal mercato e quelle maturate dai giovani nei loro percorsi scolastici. Fenomeno, questo, che non accenna a diminuire da decenni e ciò perché molti giovani considerano come cultura quella generalista mentre non considerano tale quella specifica, cioè quella pratica e tecnico-professionale. Esiste poi un pregiudizio negativo nei confronti del lavoro manuale: solo qualche percento dei giovani italiani che hanno superato i 15 anni è convinto di potersi occupare, nel futuro, in un lavoro di questo genere.

Gli italiani dovrebbero accantonare il luogo comune della coincidenza fra laurea e cultura che porta poi a ritenere che chi scansi l’università sia un inadeguato e, in aggiunta, sottovalutare la laurea quale ponte funzionale fra studio e lavoro.

Che fare per superare questa situazione certamente non salutare per il Paese? Siamo contrari alla laurea a tutti i costi, quale che sia. Occorre rafforzare la qualità delle lauree e puntare con forza su un valido orientamento in entrata, la cui assenza porta i giovani a seguire le indicazioni date in merito dai genitori: tra le conseguenze, la tendenza a scegliere lo stesso tipo di laurea dei padri. Qualità delle lauree e orientamento in entrata certamente aiutano i nostri laureati a competere ad armi pari con i migliori laureati dell’economia globale.

La qualità delle lauree richiede “l’affiancamento all’università che ne garantisce il rilascio, di un robusto e autorevole canale terziario”. In sostanza, se un dato percento degli studenti che superano l’esame di maturità s’iscrive all’università, un altro percento dovrà iscriversi a istituti tecnici superiori (Its): è ciò che si verifica in altri paesi europei e non, come la Germania, l’Inghilterra, la Francia.

Da noi gli Its sono ancora agli albori, ma chiediamo al Ministro che se ne faccia carico, e subito, perché le università non sono attrezzate per svolgere una formazione rivolta a una professionalizzazione con minori nozioni teoriche-critiche, perché non necessarie, ma di più immediata spendibilità lavorativa.

Chiediamo ai Rettori una forte e qualificante azione di contenimento dei corsi doppione (3+2), di coordinamento tra diversi atenei delle offerte didattiche, di chiusura delle sedi decentrate, di revisione dei dottorati una volta attuata l’interazione fra atenei. Ciò significa razionalizzare l’offerta didattica e ottimizzare l’utilizzo delle strutture, non dimenticando che l’istituzione sia di master veri, richiesti dalle imprese e praticamente validi, sia di stage possono dare solidità e specificità alla preparazione dei laureati e costituiscono un significativo vantaggio anche in termini occupazionali.

In attuazione della propria autonomia ogni ateneo deve aggiornare in maniera continuata i programmi d’insegnamento delle discipline attinenti all’esercizio della professione, pena l’emarginazione dei laureati liberi professionisti, come, ad esempio studi e progettazioni di fattibilità di project financing, di facility management, di progettazioni di energy technology, di certificazioni di classi energetiche, di sistemi informativi, di progettazione informatizzata, di risparmio energetico, di riqualificazione urbana.

Da ultimo reiteriamo l’invito alla Confindustria affinché partecipi attivamente al processo di riqualificazione degli studi universitari. In più occasioni il vicepresidente di Confindustria per l’education, Gianfelice Rocca, ha fatto interventi sull’università, attribuendo molta importanza al rapporto tra scuola e mondo del lavoro e chiedendo risorse per l’orientamento, citando a modello quello delle scuole tecniche tedesche (Fachschule) che si basa “ sulle esigenze del sistema economico e produttivo ed è in grado di sostenere l’industria medium-tech anche nel lungo periodo con pragmatismo adattativo”. Competitività e meritocrazia sono le basi irrinunciabili per il raggiungimento di questo obiettivo. Noi siamo d’accordo con queste richieste e riteniamo di avere il dovere di portarle a compimento nel superiore interesse del Paese, ma chiediamo che la grande industria collabori attivamente ed efficacemente nella fase di orientamento degli studenti tenuto conto dallo sviluppo industriale del Paese, di cui la Confindustria è attore principale e da cui dipenderanno poi le concrete possibilità occupazionali dei nostri laureati.
(Fonte: A. Liberatore, Rivista dell’USPUR Università/notizie n. 1/2011)