Home 2011 23 Maggio La riforma della ricerca universitaria. La scuola dei sindacati
La riforma della ricerca universitaria. La scuola dei sindacati PDF Stampa E-mail

"Molti professori universitari (fortunatamente non tutti) sono oggi in grande agitazione, occupano rettorati, proclamano scioperi. Sono forse impegnati a ottenere dal governo un eccellente provvedimento che, come quello voluto da Tony Blair in Gran Bretagna, aumentando le tasse studentesche, possa servire al rilancio dell'Università? Oppure protestano perché il governo non ha ancora rimediato ai guasti prodotti dall’applicazione della riforma detta "del tre più due", voluta dal precedente governo di centro sinistra? Assolutamente no. Disinteressati alle vere ragioni del degrado del sistema universitario, si agitano per tutt'altro. Protestano contro quella che, in perfetto sindacalese, chiamano "precarizzazione". Ce l'hanno con la ventilata riforma dello stato giuridico dei docenti volta a introdurre anche in Italia ciò che esiste in tutte le buone università straniere: contratti di ricerca, anziché "posti di ruolo", nella fase iniziale della carriera accademica. Spalleggiati dalla sinistra strillano in difesa del "posto fisso". Questo brutto episodio di agitazione corporativa può essere l'occasione per dare la sveglia a chi fa orecchie di mercante sullo stato del nostro sistema di istruzione. Mentre si discute del "riformismo" e dei suoi limiti all'interno della sinistra, mi pare utile porre qualche domanda ad alcuni colleghi professori che sono anche, guarda caso, leader dello schieramento detto riformista: il professor Romano Prodi, il professor Giuliano Amato (cui spetta la responsabilità di redigere il programma della sinistra riformista), il professor Arturo Parisi e altri ancora. Come mai non si è sentita ancora una parola di autocritica, da parte della sinistra riformista, sulle politiche dell'istruzione (Università, ma anche scuola) dell'epoca del centrosinistra? E come mai la suddetta sinistra riformista non ha ancora preso le distanze dalle rivolte corporative in atto? Vi siete chiesti perché le corporazioni sono in rivolta contro la Moratti ma non lo furono contro i ministri di centrosinistra? Non fu forse perché quei ministri si guardarono dal fare riforme in contrasto con gli interessi corporativi vigenti? Penso che i suddetti professori-leader sappiano che, per com’è stata attuata, la riforma "del tre più due" sia stata, soprattutto nelle facoltà umanistiche, una iattura. E penso che sappiano che la riforma dello stato giuridico proposta dal ministro Moratti sia, nel complesso, una buona riforma. Perché non lo dicono? E, soprattutto, perché non ci dicono cosa faranno di diverso da quello che fecero quando erano al governo se vinceranno le elezioni del 2006? Lo stesso discorso vale per la scuola. I sindacati fanno la guerra al ministro Moratti. Si capisce perché. E' dai tempi della DC che la scuola è gestita, di fatto, da un’alleanza perversa fra i sindacati della scuola e i funzionari della Pubblica Istruzione. Ma solo dei folli possono pensare che una scuola sul cui funzionamento i sindacati hanno l'ultima parola possa essere una buona scuola. L'ipoteca sindacale sulla scuola non fu affatto spezzata all'epoca del centrosinistra. E persino un buon ministro come Letizia Moratti quando fa passi falsi, li fa per tenere buoni i sindacati. Ai riformisti della sinistra è lecito chiedere di non perseverare, di non lasciare più l'ultima parola ai sindacati il giorno in cui torneranno al governo. Non so se la si possa qualificare "riformista" ma è certo che una "buona" politica dell'istruzione, se davvero tale, è il frutto di un’elaborazione autonoma, non dell'asservimento al volere di corporazioni e sindacati".

Come dire che bisognerebbe sentire tutte le campane, e non giudicare solo per pregiudizio ideologico. Ma in Italia non abbiamo scampo: una riforma, per quanto buona, valida e utile sia, se viene fatta dalla controparte politica, è sempre obbrobriosa (questo vale per entrambe le parti).
(Fonte: A. Panebianco, acpadova.it 17-05-2011)