Home 2011 26 Febbraio Sul reclutamento dei ricercatori nella L. 240/10
Sul reclutamento dei ricercatori nella L. 240/10 PDF Stampa E-mail

Com’è noto il ruolo dei ricercatori è stato messo a esaurimento dalla Riforma Moratti (Legge 230 del 2005). Gli effetti di questa disposizione erano però rinviati al 2013. La legge Gelmini dispone  invece che fin da ora non possano essere più banditi posti di ricercatore “a tempo indeterminato” (art. 29, comma 1). Questo significa che la posizione di professore associato diviene la prima posizione accademica di ruolo. Ci saranno però “ricercatori a tempo determinato” (Art. 24), con compiti di ricerca e di didattica analoghi a quelli degli attuali ricercatori. Essi saranno titolari di un “contratto di lavoro subordinato” con l’università. Secondo l’Art. 24 i contratti di ricercatore saranno di due tipi: a) e b).

I contratti di tipo a) corrispondono a posizioni “post-dottorali” delle quali non è prevista la trasformazione in posti permanenti (non sono cioè, secondo la terminologia corrente, “tenure track”). La durata massima di questi contratti è di cinque anni (tre anni con un possibile rinnovo di due anni), anche se usufruiti in sedi diverse.

I contratti di tipo b) corrispondono a posizioni cosiddette “tenure track” cioè posizioni suscettibili di trasformarsi in posizioni permanenti nel ruolo dei professori associati. I contratti di tipo b) possono essere stipulati solo con chi ha usufruito per almeno tre anni di contratti di tipo a), ovvero, sempre per almeno tre anni, di assegni di ricerca o borse postdottorali in Italia o di analoghe posizioni all’estero.

I ricercatori di tipo b) che conseguono la “abilitazione scientifica” sono “valutati” dall’università “ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato”, che è deliberata a maggioranza (dei professori di prima e seconda fascia) dal dipartimento competente. Non è previsto che il ricercatore di tipo b) in possesso di abilitazione sia immesso direttamente nei ruoli di professore associato, tuttavia la valutazione (aggiuntiva a quella dell’abilitazione) operata dall’università dovrà riguardare solo l’attività scientifica e didattica del ricercatore. Un eventuale esito negativo non potrà quindi essere motivato da ragioni di bilancio. Infatti, la legge impone che l’università assicuri le disponibilità di bilancio necessarie per l’assunzione del ricercatore di tipo b) come professore associato nell’ambito della (obbligatoria) programmazione triennale delle risorse (Art. 24, comma 5). Una mancata valutazione o una valutazione negativa motivata da ragioni di bilancio sarebbero suscettibili di ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale o al Consiglio di Stato da parte dell’interessato. Non hanno quindi fondamento le critiche alla legge che lamentavano la possibilità di non procedere all’assunzione definitiva dei ricercatori di tipo b) abilitati, per carenza di fondi disponibili.

Si può ritenere che saranno molto rari i casi di ricercatori di tipo b) che conseguono l’abilitazione a professore di seconda fascia e non sono chiamati dall’università nella quale sono stati ricercatori. Per il reclutamento dei professori la selezione dei ricercatori di tipo b) è quindi il passo più importante.

La legge prevede che questa selezione sia disciplinata da un regolamento dell’ateneo, per il quale indica alcuni principi.  Come si è detto potranno partecipare a queste selezioni solo i soggetti che siano stati per almeno tre anni “ricercatori di tipo a)”, assegnisti o borsisti postdottorali. Ci sarà un bando di selezione, relativo a un “settore concorsuale” che, in generale, sarà più ampio degli attuali settori scientifico disciplinari. Tuttavia il bando stesso potrà indicare uno o più settori scientifico disciplinari tra quelli raccolti nel “settore concorsuale”. Sarà questa probabilmente la scelta di quasi tutti i bandi. Nella sostanza, come oggi, il bando sarà quasi sempre aperto solo agli specialisti di un settore scientifico disciplinare. Si prevede una valutazione preliminare dei candidati basata sul “curriculum” e sulla produzione scientifica. Tra il 10 e il 20 per cento dei candidati, e almeno sei di essi (tutti, se i candidati sono meno di sei), saranno ammessi a una successiva prova orale che consiste nella discussione dei titoli. Infine ci sarà una (proposta di) chiamata da parte del dipartimento con voto favorevole della maggioranza dei professori di prima e di seconda fascia (sono esclusi dal voto i ricercatori a tempo indeterminato). La chiamata sarà infine ratificata dal Consiglio di Amministrazione.

La selezione si svolge quindi a livello locale. In mancanza di regole o prassi consolidate che contrastino il cosiddetto “inbreeding”, si accentuerà probabilmente il localismo nelle assunzioni che caratterizza il sistema italiano.

La legge, però, cerca di contrastare il localismo (e il “nepotismo”) con tre disposizioni. La prima stabilisce che non possono essere assunti come ricercatori o docenti i parenti e gli affini (fino al quarto grado incluso) del rettore, del direttore amministrativo, dei membri del consiglio di amministrazione e dei docenti del dipartimento che effettua la chiamata (Art. 18, comma 1, lettera b) e lettera c). La seconda stabilisce che si deve prevedere, nella programmazione triennale delle risorse, che il 20% delle risorse siano impiegate per assumere personale estraneo all’ateneo (Art. 18, comma 4). La terza infine (Art. 5 comma 5) prevede che tra i criteri utilizzati nel valutare le università, ai fini della distribuzione di una quota del FFO rientri anche “la percentuale di ricercatori a tempo determinato in servizio che non hanno trascorso l’intero percorso di dottorato e post-dottorato […] nella medesima università”. L’unica disposizione non facilmente eludibile è la prima che, ovviamente, non è sufficiente per contrastare il localismo. In particolare la disposizione che riserva il 20% delle risorse programmate al reclutamento di “esterni” non impone, né può imporre, che questa riserva di risorse sia effettivamente impiegata per il reclutamento di esterni. Difficilmente percepibili da parte di chi fa le scelte, saranno poi i minuscoli ed eventuali vantaggi in termini di distribuzione di FFO associati all’assunzione di personale esterno.

Il fenomeno del localismo, cioè il fatto che in troppi casi l’intera carriera universitaria, dalla laurea al posto di prima fascia, avviene nella stessa sede, è già prevalente nell’università italiana.  E’ difficile quindi parlare di un peggioramento di questo fenomeno dovuto alla nuova legge. Si deve dire però che le recentissime norme sulla formazione delle commissioni di concorso a ricercatore che prevedevano commissioni formate da tre docenti di prima fascia di cui due esterni alla sede che aveva bandito il concorso, stavano già producendo importanti effetti di contrasto al localismo. La nuova legge costituisce quindi un passo indietro rispetto alle norme attualmente in vigore per il reclutamento al primo livello di docente.
(A. Figà Talamanca, NoiseFromAmerika 10-02-2011)