Home 2011 26 Febbraio Il processo di Lisbona non ha raggiunto i suoi obiettivi
Il processo di Lisbona non ha raggiunto i suoi obiettivi PDF Stampa E-mail

L’Unione avanza troppo lentamente nel campo della scienza, non riesce a guadagnare terreno sulla leadership di Stati Uniti e Giappone e resta a guardare mentre la Cina riduce rapidamente il suo ritardo. Gli obiettivi del fallimentare processo di Lisbona sono stati posticipati addirittura di un decennio, dal 2010 al 2020. In un contesto simile cresce il timore che i tagli ai bilanci finiscano col rallentare l’attività di ricerca, ancora troppo legata agli investimenti statali. La Commissione europea conferma questo scenario con la pubblicazione della classifica dell’innovazione nei paesi europei. I dati riflettono l’insufficienza dello sforzo economico: i ventisette investono ancora soltanto il 2,01 per cento del pil in ricerca e sviluppo, mentre l’obiettivo è quello di arrivare al 3 per cento. I rettori delle università europee più coinvolte nella ricerca hanno lanciato un appello a potenziare gli investimenti pubblici per non perdere competitività. Ventidue rettori di istituzioni come Oxford, Cambridge, Lovanio e l’Università di Barcellona chiedono ai leader dell’Unione europea di “essere coscienti dell’importanza per la competitività dell’Europa di un investimento adeguato e a lungo termine nella ricerca di base”.

L’obiettivo del 3 per cento, fissato nel 2000 al vertice di Lisbona per la fine del primo decennio del nuovo secolo, non è stato raggiunto. Tra i vari paesi si registrano comunque sensibili differenze. Secondo i dati Eurostat e Ocse, Germania, Francia, Svezia e Danimarca superano ampiamente la media europea. In Europa gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo hanno un peso maggiore rispetto ad altri poli economici. Di conseguenza, in questo campo le politiche dei governi rivestono un ruolo di primo piano. Nei paesi dell’Unione europea il 45 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo sono pubblici. Lo stesso non accade negli Stati Uniti, dove la percentuale si ferma al 33 per cento, e nemmeno in Corea del Sud o Giappone, dove non arriva al 30 per cento.
(S. Tobarra e R. Martínez de Rituerto, PressEurope.eu 05-02-2011)